Ripensare
In quanto ente di tutela e studio, il museo deve solo occuparsi della storia del passato o deve anche rendersi responsabile in prima persona della storia ancora a venire? È possibile ripensare un museo, e in particolare un museo demo-etno-antropologico, affinché esso sia anche responsabilmente un museo contemporaneo?
La straordinaria articolazione e stratificazione delle opere e dei documenti che il Museo delle Civiltà conserva è basata sulla coesistenza fra differenti discipline e origini, che hanno un ricorrente fondamento nella cultura positivista, classificatoria ed eurocentrica della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo. L’urgenza posta dalla tipologia di queste collezioni, e la necessità di affrontare un aggiornamento dei suoi statuti disciplinari e della sua funzione pubblica, sono le ragioni principali che richiedono al museo di assumersi e attuare, oggi, una riflessione sistemica sulle sue identità, non solo passata ma anche presente, interrogandosi se e come possa operare un museo antropologico contemporaneo, ovvero intraprendendo azioni critiche e autocritiche volte all’accessibilità, che prevedono pratiche interconnesse di cura, assunzione di responsabilità, condivisione o restituzione.
Come sta emergendo da una molteplicità di ricerche storiche e teoriche e pratiche artistiche e intellettuali, sia a livello nazionale che internazionale, i musei antropologici stanno diventando un caso di studio nella museologia contemporanea: ci si interroga infatti se la separazione e classificazione fra le culture abbia contribuito all’invenzione di categorie come quelle del “primitivo” e dell’“alterità”, funzionali a narrazioni non paritetiche o conoscenze escludenti, invece che inclusive. Per non essere un museo in cui persista questa diseguaglianza – che alcuni membri del pubblico non percepiscono ma che, invece, alcuni membri di quello stesso pubblico chiaramente percepiscono – il museo antropologico contemporaneo può provare a:
- porre al centro della sua azione un accesso libero e esteso ai suoi archivi e un sostegno plurale a quelle ricerche e pratiche che studino e riscrivano la biografia di ogni singola opera e di ogni singolo documento, a partire dalla ricostruzione rigorosa delle provenienze;
- attivare progetti che affrontino e decostruiscano storie e dinamiche su cui le collezioni del museo sono state storicamente fondate, rinunciando a interpretazioni unilaterali che non possono che perpetuare una storia e una dinamica di rimozione;
- distinguere tra le opzioni a cui si richiamano i differenti termini e ambiti di azione “post-coloniale”, “de-coloniale”, “anti-coloniale”;
- connettere ricerca e pedagogia per declinare su questa base comportamenti istituzionali posizionati ma policentrici e intersezionali, in cui prendere posizione significa rendersi co-autori consapevoli con le varie comunità dell’accessibilità del museo.
Nel contesto più generale del “Grande Progetto Museo delle Civiltà” sostenuto dal Ministero della Cultura e con il coordinamento della Direzione Generale Musei, il Museo delle Civiltà sta quindi dando avvio a numerosi cantieri: non solo allestitivi o impiantistici, ma anche appunto metodologici, che porteranno gradualmente alla riapertura di tutte le sezioni del museo, molte delle quali non ancora pienamente operative o chiuse da decenni. Innescando in alcuni casi – come quello delle collezioni di origine coloniale – anche una riflessione compartecipata sull’opportunità e sulle modalità per una loro riapertura, almeno rispetto agli usuali formati museali. Le “Civiltà” a cui il Museo delle Civiltà è dedicato sono, quindi, non solo storiche ma anche quelle del nostro presente e quelle ancora da realizzare, insieme.
Al 26 ottobre 2022 risale il primo cantiere, quello dei 2 ingressi tra loro simmetrici: Palazzo delle Scienze (Piazza Guglielmo Marconi 14) e Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari (Piazza Guglielmo Marconi 8). Entrambi gli ingressi sono stati riconfigurati come un’introduzione storico-critica al museo, un racconto dell’istituzione nel corso del tempo, attraverso le sue differenti incarnazioni, per provare a rispondere alla domanda del pubblico: “quale museo sto per visitare?”. Gli ingressi – che saranno oggetto di riallestimento periodico – permettono di approfondire le metodologie di ricerca e gli strumenti della sua condivisione (inventari, schedari, targhette e didascalie, piante e mappe, riviste e pubblicazioni, materiali didattici) adottati nei vari dipartimenti e sezioni del museo, documentando così anche alcune tipologie ricorrenti di catalogazione delle opere e dei manufatti. Nello specifico, è analizzato il contesto di provenienza o il rapporto tra unicità e serialità del manufatto che caratterizza le collezioni e la loro interpretazione fino a oggi, documentando alcuni personaggi ed eventi da cui le collezioni stesse originano, come la multidisciplinarietà ante litteram della wunderkammer del gesuita Athanasius Kircher, il ruolo delle grandi esposizioni enciclopediche come la Mostra di Etnografia Italiana del 1911 e dell’Esposizione Universale di Roma (E.U.R.) del 1942, l’attività collezionistica fra XIX e XX secolo di figure come Evan G. Gorga e l’attività di ricerca sul campo di esploratori e antropologi di varie generazioni e formazioni di cui il Museo delle Civiltà custodisce i fondi archivistici e collezionistici quali, fra altri, quelli di Enrico H. Giglioli, Lamberto Loria, Luigi Pigorini, Annabella Rossi e Giuseppe Tucci.
Il ripensamento delle metodologie museali, che si concretizza in un riallestimento progressivo delle collezioni e nella contestuale riscrittura degli apparati grafici che le interpretano, può contribuire a trasformare il museo da un rassicurante custode delle civiltà del passato a un agente critico di civiltà, presenti e a venire, un cantiere a disposizione dei diversi pubblici in grado di ritarare i propri strumenti e ricalibrare la sua programmazione, giorno per giorno.