Elizabeth A. Povinelli
Roots/Routes: The Present as Prehistorical Sedimentation (Radici/strade: il presente come sedimentazione preistorica), 2022
Il primo intervento contemporaneo, diviso in due parti, nel riallestimento delle collezioni preistoriche è quello dell’antropologa, teorica critica e artista Elizabeth A. Povinelli, Franz Boas Professor of Anthropology and Gender Studies alla Columbia University di New York e membro del collettivo artistico Karrabing Film & Art Collective. La prima parte riguarda una serie di citazioni, scelte da Povinelli, da testi suoi e di altre autrici che condividono prospettive critiche sul contesto storico in cui si è originato il concetto di Preistoria e sulle ricadute contemporanee. Dipinte su riquadri giallo di Napoli (uno dei pigmenti più antichi utilizzati dall’uomo) che si aprono come finestre luminose nel percorso a tinte scure, le citazioni appaiono come annotazioni trasferite alle pareti, relazionandosi con quanto è intorno e raccontando di eredità possibili all’epoca della crisi climatica, di un tempo non lineare o circolare ma inteso piuttosto come sedimento di varie epoche imparentate tra di loro, di Antropocene come studio geologico infuso di responsabilità politica. La seconda parte, composta di grandi disegni a parete dell’artista, che mimano le pitture rupestri preistoriche, entra ancora più profondamente sulla valenza politica delle stratificazioni geologiche, attraverso la prospettiva dei movimenti tellurici e ai fenomeni a questi collegati, naturali o artificiali (terremoti, tsunami, fracking). Tra le crepe, le onde e gli sgretolamenti emergono alcune urgenze sociali e ambientali che riverberano oggi con il dibattito contemporaneo globale.
Termosifone parlante #1
“Ciò che ereditiamo non proviene dal passato. Ciò che ereditiamo è il posto che ci viene dato nel presente in un mondo che è strutturato per prendersi cura dell’esistenza di alcuni, e non di altri”.
“Inheritance doesn’t come from the past. Inheritance is the place we are given in the present in a world structured to care for the existence of some and not of others”.
estratto da / excerpt from: Elizabeth A. Povinelli, The Inheritance, Duke University Press, 2021
Termosifone parlante #2
“Sono molto preoccupata per il fatto che potremmo non essere in grado di fermare la fine di questo mondo in cui esistiamo; sono preoccupata per la demolizione di strutture democratiche che, sebbene limitate e perverse, hanno fornito almeno un’ancora alle richieste di giustizia sociale e globale (da parte di persone indigene, migranti, LGBTI*, popolazioni non bianche ovunque) e potrebbe (a volte) limitare una violenza totale; sono preoccupata che gli insetti e altre specie si stiano estinguendo, che i fiumi si stiano prosciugando, che gli oceani vengano soffocati dalla plastica, che le fratturazioni idrauliche stiano distruggendo e minacciando di contaminare grandi aree di falde acquifere. Questa è una lunga lista. Tuttavia, mi sento coinvolta nella fine del mondo per come lo conosciamo – perché non vedo come potremmo esistere altrimenti”.
“I am very worried that we may not be able to stop the end of this world in which we exist; I am worried about the demolition of democratic structures that, though limited and perverse, provided at least an anchor to claims for social and global justice (from indigenous, migrant, LGBTI*, non-white populations everywhere) and could (at times) limit total violence; I am worried that insects and other species are becoming extinct, that rivers are drying up, that oceans are being suffocated by plastic, that fracking is destroying and threatening to contaminate large areas of underground water. This is a long list. However, I am invested – because I don’t see how we will be able to exist otherwise – in the end of the world as we know it”.
estratto da / excerpt from: An End To “This” World: Denise Ferreira Da Silva Interviewed by Susanne Leeb And Kerstin Stakemeier, in “Texte Zur Kunst”, dibattito online /online debate, aprile / April 2019
Termosifone parlante #3
“L’Antropocene può sembrare che ci offra un avvenire distopico, in cui piangere la fine del mondo, ma l’imperialismo e i colonialismi (ancora) in corso hanno già posto fine ai mondi, per tutto il tempo in cui sono esistiti. L’Antropocene come geologia politicamente infusa e discorso scientifico/popolare si accorge adesso dell’estinzione, che ha scelto di continuare a trascurare per realizzare la sua modernità e la sua libertà”.
“The Anthropocene might seem to offer a dystopic future that laments the end of the world, but imperialism and ongoing (settler) colonialisms have been ending worlds for as long as they have been in existence. The Anthropocene as a politically infused geology and scientific/popular discourse is just now noticing the extinction it has chosen to continually overlook in the making of its modernity and freedom”.
estratto da / excerpt from: Kathryn Yusoff, A Billion Black Anthropocenes or None, University of Minnesota Press, 2018
Termosifone parlante #4
“Ammetto che è una buona cosa mettere diverse civiltà in contatto le une con le altre; che è una cosa eccellente fondere mondi diversi; che qualunque sia il suo particolare genio, una civiltà che si ritira in sé si atrofizza; che per le civiltà, lo scambio è ossigeno; che la grande fortuna dell’Europa è di essere stata un crocevia, e che poiché era il luogo di tutte le idee, il ricettacolo di tutte le filosofie, il punto di incontro di tutti i sentimenti, era il miglior centro per la ridistribuzione dell’energia. Ma poi mi faccio la seguente domanda: la colonizzazione ha davvero messo in contatto le civiltà? O, se preferite, di tutti i modi di stabilire un contatto, era il migliore? La mia risposta è no”.
“I admit that it is a good thing to place different civilizations in contact with each other; that it is an excellent thing to blend different worlds; that whatever its own particular genius may be, a civilization that withdraws into itself atrophies; that for civilizations, exchange is oxygen; that the great good fortune of Europe is to have been a crossroads, and that because it was the locus of all ideas, the receptacle of all philosophies, the meeting place of all sentiments, it was the best center for the redistribution of energy. But then I ask the following question: has colonization really placed civilizations in contact? Or, if you prefer, of all the ways of establishing contact, was it the best? I answer no”.
estratto da / excerpt from: Aimé Césaire, Discourse on Colonialism, New York University Press, 2000
Termosifone parlante #5
“Una rete relazionale come metafora spaziale ci impone di prestare attenzione alle nostre relazioni e doveri qui e ora. È una narrazione che può aiutarci a resistere a quei sogni di progresso verso un mai arrivato futuro di tolleranza e bene che, paradossalmente, impone la violenza genocida in corso contro i corpi neri, così come la violenza verso molti corpi de-animati”.
“A relational web as spatial metaphor requires us to pay attention to our relations and obligations here and now. It is a narrative that can help us resist those dreams of progress toward a never-arriving future of tolerance and good that paradoxically requires ongoing genocidal and anti-Black violence, as well as violence toward many de-animated bodies”.
estratto da / excerpt from: Kim TallBear, Caretaking Relations, Not American Dreaming, in “Kalfou: A Journal of Comparative and Relational Ethnic Studies”, Vol. 6 No. 1, 2019