Calzature dalla Siria al Giappone
[a cura di Gabriella Manna]
Come tutti gli oggetti anche le calzature raccontano una storia. Parlano di strade attraversate per raggiungere luoghi lontani ma anche di reclusioni e privazioni soprattutto per le donne, quando ai loro piedi compaiono improbabili scarpe che ne limitano o impediscono il movimento. Donano una andatura sinuosa e accattivante sottolineando un qualche cosa legato alla seduzione che da sempre accompagna la loro creazione.Esistono scarpe comode per stare in casa, scarpe da parata, scarpe per dominare e scarpe per sedurre, per offrire comodità e leggerezza, per sacrificare e segregare.Indicano un limite come nelle pitture del XVII secolo, dove una pianella in primo piano alludeva alla separazione tra spazio pubblico e privato. Intese come elemento distintivo del censo, le calzature sono state nei secoli oggetto di regolamenti e di negazione, consentite e dosate a norma di legge con provvedimenti che le adeguavano alle diverse condizioni. Le scarpe rivelano inoltre elementi importanti del popolo che le ha create, non solo nelle fogge, ma anche nei colori, nelle decorazioni, nei materiali utilizzati.
Da sempre sono oggetto di fantasiose creazioni: pensiamo alle pianelle create in Occidente tra il Medioevo ed il Rinascimento con il loro sopralzo di circa 50 centimetri, indossate per evitare di sporcare il fondo dell’abito, passeggiando in strada o il il qabqab uno zoccolo di legno con intarsi in madreperla o argento, legato al piede con nastri o strisce di pelle utilizzato dalle donne arabe all’hammam per evitare di bagnarsi i piedi e di scivolare sui pavimenti saponosi. La scarpa non è solo un oggetto di uso comune ma un simbolo: di rinnovamento come la scarpetta di cristallo di Cenerentola o quelle rosse dell’omonima fiaba, di seduzione erotica come le piccole pantofole dove venivano racchiusi i piedi fasciati che ne frenavano lo sviluppo nell’antica Cina, o le odierne scarpe con i tacchi a spillo. Soffermarsi ad osservare che cosa portavano ai piedi gli antichi e cosa indossano le popolazioni, in particolare per quel che riguarda il materiale esposto, quelle orientali aiuta a conoscere il passato, a ricostruire funzioni sociali diversificate e a restituire il giusto valore ad un manufatto ritenuto “povero”.
Come tutti gli oggetti anche le calzature raccontano una storia. Parlano di strade attraversate per raggiungere luoghi lontani ma anche di reclusioni e privazioni soprattutto per le donne, quando ai loro piedi compaiono improbabili scarpe che ne limitano o impediscono il movimento. Donano una andatura sinuosa e accattivante sottolineando un qualche cosa legato alla seduzione che da sempre accompagna la loro creazione. Esistono scarpe comode per stare in casa, scarpe da parata, scarpe per dominare e scarpe per sedurre, per offrire comodità e leggerezza, per sacrificare e segregare. Indicano un limite come nelle pitture del XVII secolo, dove una pianella in primo piano alludeva alla separazione tra spazio pubblico e privato. Intese come elemento distintivo del censo, le calzature sono state nei secoli oggetto di regolamenti e di negazione, consentite e dosate a norma di legge con provvedimenti che le adeguavano alle diverse condizioni.
Le scarpe rivelano inoltre elementi importanti del popolo che le ha create, non solo nelle fogge, ma anche nei colori, nelle decorazioni, nei materiali utilizzati. Da sempre sono oggetto di fantasiose creazioni: pensiamo alle pianelle create in Occidente tra il Medioevo ed il Rinascimento con il loro sopralzo di circa 50 cm., indossate per evitare di sporcare il fondo dell’abito, passeggiando in strada o il il qabqab uno zoccolo di legno con intarsi in madreperla o argento, legato al piede con nastri o strisce di pelle utilizzato dalle donne arabe all’hammam per evitare di bagnarsi i piedi e di scivolare sui pavimenti saponosi. La scarpa non è solo un oggetto di uso comune ma un simbolo: di rinnovamento come la scarpetta di cristallo di Cenerentola o quelle rosse dell’omonima fiaba, di seduzione erotica come le piccole pantofole dove venivano racchiusi i piedi fasciati che ne frenavano lo sviluppo nell’antica Cina, o le odierne scarpe con i tacchi a spillo.
Soffermarsi ad osservare che cosa portavano ai piedi gli antichi e cosa indossano le popolazioni, in particolare per quel che riguarda il materiale esposto, quelle orientali aiuta a conoscere il passato, a ricostruire funzioni sociali diversificate e a restituire il giusto valore ad un manufatto ritenuto “povero”. L’esposizione di numerose calzature dalle collezioni del Museo Nazionale d’Arte Orientale, del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini” e della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini offre un ampio panorama di questo accessorio d’abbigliamento che nei diversi paesi – dalla Siria al Giappone – rispecchia, oltre al gusto, le tradizioni culturali e religiose.
Alla mostra è collegato il progetto didattico “1000 cenerentole + la tua”: nel corso di laboratori didattici si racconteranno alcune delle numerosi versioni (cinese, araba, tibetana, giapponese) della nota favola di Cenerentola. Sarà questo il filo conduttore per scoprire dove e come vivono i popoli citati nella fiaba.
1. Calzature coreane
Le scarpe, gli zoccoli e gli stivali usati in Corea che differiscono per modello e materiale a seconda dello stato sociale e del sesso di chi li indossava. Le scarpe sono generalmente piatte e chiuse; i materiali utilizzati erano vari: paglia, canapa, pelle, stoffa, legno. Gli stivali erano usati dai cacciatori e dai contadini specialmente nelle regioni settentrionali, mentre gli zoccoli venivano usati maggiormente nelle regioni del Sud.Le scarpe maschili erano per lo più bianche, nere o comunque di colori neutri, quelle femminili e quelle da bambino potevano avere invece tinte vivaci.
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I sandali possono essere in paglia (jipsin) o in canapa (mituri) intrecciate; i jipsin sono le calzature coreane più antiche: risalgono infatti al periodo delle Tre Dinastie (57 a.C.-668 d.C.) e sono usati soprattutto nelle zone rurali.
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Gli zoccoli chiusi in legno namaksin dalla suola rialzata da sostegni trasversali erano usati per la pioggia.
2. Calzature giapponesi
Le calzature più usate sono i sandali infradito; tra questi i geta, rialzati da terra tramite due alti sostegni trasversali, sono particolarmente adatti col maltempo. In passato molto diffusi erano anche i sandali di paglia intrecciata. I samurai indossavano scarpe in pelle d’orso o stivali in cuoio e legno.
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Gli zori sono delle calzature infradito particolarmente comode perché possono essere infilate e sfilate facilmente; vengono indossate soprattutto con il kimono. L'hanao, la stringa che tiene il piede alla calzatura, può essere di vari materiali: stoffa, a volte riccamente decorata, pelle, paglia di riso; essendo posta al centro della punta, non vi è distinzione tra scarpa destra e scarpa sinistra.
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I tabi, calze di cotone con la separazione per l'alluce, si diffusero nel periodo Edo (1603-1867) ed erano indossati soprattutto dai samurai. I tabi tradizionali sono costituiti da due tagli di stoffa cuciti tra loro e pertanto non aderiscono perfettamente al piede. Ai classici colori bianco, usato per le cerimonie, e nero, preferito dagli uomini, si sono aggiunte col tempo tinte vivaci. I tabi vengono usati ancora oggi sia negli ambienti interni, dov'è abitudine restare scalzi, sia per indossare i geta e gli z%u014Dri. Inoltre vengono calzati dai ballerini, dagli attori di teatro e da chi pratica arti marziali.
3. Calzature indiane
Come in altre civiltà, anche in India il piede è considerato simbolo di bellezza, ed è inoltre associato al culto della fertilità e alla virtù della modestia; pertanto alle calzature viene data particolare importanza nella vita sociale e religiosa. L’intero subcontinente è costellato di impronte di piedi di maestri, divinità e buddha.
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Le origini delle paduka, dal sanscrito p%u0101daka (piccolo piede) risalgono al III millennio a.C.; indossate inizialmente soprattutto dai maestri spirituali, sono costituite da una suola su cui è fissato un perno, che esercita una pressione giudicata in grado, secondo la riflessologia plantare, di agevolare il mantenimento del voto di castità. Il perno è generalmente in legno, poiché il cuoio è considerato impuro. Paduka in argento, ferro o avorio vengono calzate in speciali cerimonie.
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I mojari, usati soprattutto nell' India settentrionale, presentano la punta ricurva e sono spesso arricchiti con complessi motivi ricamati.
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I chappal sono semplici sandali con cinghie di pelle conciata di diversi animali.
4. Calzature tibetane
Le calzature tibetane, caratterizzate dall’identica sagomatura per entrambi i piedi, identificano il rango, il luogo d’origine e talvolta la professione del portatore. Confortevoli e colorate, sono prodotte da artigiani che utilizzano pelliccia, lana e stoffa; la pelle viene utilizzata di solito per gli allevatori, la lana per gli agricoltori, la suola è spesso realizzata con canapa o lino.
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Militari e funzionari calzano di preferenza scarpe e stivali con la punta orgogliosamente rivolta verso l'alto. I Lama possono indossare caratteristici stivali colorati che vengono stretti intorno ai polpacci mediante stringhe; la forma di questi calzari intende rimandare al tema della sottomissione dei "tre veleni mentali" (triklesha): ottusità (moha), odio (dvesha) e bramosia (raga). Nella forma di queste calzature si vuole appunto vedere un richiamo ai tre animali che simboleggiano figurativamente il triklesha: l'ampia punta volta all'insù per alludere al muso di un maiale (moha), il profilo ad onda ad un sinuoso serpente (dvesha) e le due protuberanze poste ai lati dello stivale ai bargigli di un gallo (raga). I Lama e i funzionari d'alto rango possono indossare calzature nelle quali vengono utilizzati materiali di pregio come la seta.
5. Calzature cinesi
Smessa l’usanza di fasciarli, i piedi delle donne riacquistarono la forma e le dimensioni naturali e di conseguenza anche le scarpe. Accanto a quelle in pelle con il tacco, di modello occidentale, erano in uso anche quelle tradizionali in seta ricamata, senza tacco.
Ma le calzature che hanno contraddistinto la seconda metà del XX secolo sono le scarpe col cinturino interamente in cotone, dalla suola formata da più strati cuciti insieme, che in passato venivano confezionate a mano dalle donne.
6. Calzature del Vicino Oriente
Numerosi sono i tipi di calzature in uso che, oltre ad esigenze pratiche legate all’ambiente, rispondono anche a tradizioni religiose e culturali. Poiché i musulmani si tolgono le scarpe prima di entrare nelle moschee e nelle abitazioni private, sono preferite scarpe sprovviste di lacci in modo da essere calzate rapidamente e senza dover toccare i piedi.
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Le babbucce (copripiedi) sono le calzature più diffuse nei paesi islamici. Per facilitare l'operazione di mettersi e togliersi le scarpe, la zona del tallone è abbassata e spesso rinforzata. La parte superiore può essere di stoffa, maglia, pelle. Inizialmente le babbucce destinate ai musulmani erano solo gialle.
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Il qabqab è uno zoccolo con intarsi di legno madreperla o argento, legato al piede con nastri o strisce di pelle. Le donne ottomane li indossavano per andare all'hammam (bagno turco), perché gli alti sostegni mantenevano i piedi puliti e distanti dai caldi pavimenti. Il nome qabqab probabilmente ricorda il suono che le calzature producevano sul terreno. All'inizio del XV secolo la moda di pianelle alte si diffuse anche in Europa: in Francia (chopines) e in Italia (borzacchini, calcagnini); a Venezia gli zoppieggi o sopei avevano delle suole talmente alte che le donne camminavano appoggiate a due persone.
7. Le scarpe dei bambini
Le scarpe dei bambini, come anche i cappellini e altri capi d’abbigliamento, sono spesso decorati con musi di animali per proteggere i piccoli dagli influssi negativi e “travestirli” in modo da ingannare gli spiriti malvagi che volessero far loro del male.
8. Il loto d’oro di tre pollici (sancun jinlian)
Secondo una tradizione cinese, nel XII secolo a.C. l’imperatrice, avendo un piede storto, aveva convinto il marito a rendere obbligatoria per tutte le ragazze la torsione dei piedi, perché diventassero simili ai suoi, considerati modello di bellezza ed eleganza.L’origine dell’usanza della fasciatura dei piedi delle donne cinesi risale probabilmente al X secolo d.C. quando sembra che le danzatrici di corte, per esibirsi su podi a forma di fiore di loto, si stringessero i piedi con bende di seta. I primi ritrovamenti di scarpe piccole in alcune tombe principesche risalgono al XII secolo; successivamente la pratica della fasciatura si diffuse anche tra i ceti meno agiati della popolazione. Sotto i Qing, dinastia di origine mancese (1644-1911), essendo proibito alle donne di quest’etnia di bendarsi i piedi, costoro, per imitare l’affascinante incedere incerto delle donne cinesi, mettevano un alto rialzo sotto le scarpe. L’usanza fu definitivamente messa al bando agli inizi del XX secolo, parallelamente al tramonto dell’impero cinese.
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sancun jinlian
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Dall'età di 5-7 anni, i piedi delle bambine venivano fasciati in modo costante e progressivo con una striscia di stoffa larga cinque centimetri e lunga circa tre metri per impedirne la crescita: le madri iniziavano la fasciatura in date considerate fauste, come ad esempio il ventiquattresimo giorno dell'ottavo mese lunare, dedicato alla "dea dai piedi piccoli". I piedi fasciati, arcuati e affusolati come un bocciolo di fiore di loto, incarnavano un ideale di bellezza femminile, ed allo stesso tempo testimoniavano l'appartenenza alle classi più abbienti. Il piede di una donna adulta, che non veniva mai liberato dalle fasce per tutto il corso dell'esistenza, neanche di notte, arrivava a misurare tra i 13 e i 17 cm e necessitava perciò di calzature apposite. Poiché le donne con i piedi così fasciati avevano difficoltà a camminare per lunghi tratti, la loro vita si svolgeva per lo più all'interno dell'abitazione; quando uscivano si servivano di una portantina o si appoggiavano ad un bastone o al braccio di una serva.
9. Progetto didattico “1000 Cenerentole + la tua”
Il progetto didattico interculturale dal titolo “1000 cenerentole + la tua” ha visto coinvolti gli alunni delle scuole elementari e medie di Roma. In occasione di questa iniziativa il Museo ha organizzato la piccola mostra di calzature che abbracciano l’intera Asia dal Mediterraneo orientale al Mar Giallo, mostra aperta dal 19 dicembre 2009 al 14 marzo 2010. Attraverso laboratori didattici e performances legate alla protagonista della ben nota favola, i ragazzi hanno appreso usi e costumi propri di altre civiltà. Esistono ben 345 versioni della famosa favola di Cenerentola, studiate alla fine dell’800 da Marion Rolfe Cox, mentre più numerose (circa 700) sono le versioni tramandate oralmente attraverso l’Europa, l’Egitto, il Medio e l’Estremo Oriente. Secondo la versione di Claudio Eliano, uno scrittore romano di lingua greca, vissuto tra il I e il II secolo d.C., la favola ha origine nell’Antico Egitto della XXVI Dinastia dove la protagonista si chiama Radope. Altre versioni fanno risalire la sua origine all’antica Cina nella storia di Yen-Shen raccontata da Tuan Ch’ing Shih, dove fra gli elementi della favola che compaiono nelle versioni occidentali ritroviamo il motivo dei piedi minuti della protagonista, segno di nobiltà e distinzione nella cultura cinese. Non sempre si perde la scarpetta: in una versione persiana (Il vasetto magico), per esempio la protagonista perde un braccialetto. Il mondo arabo ha la sua Cenerentola in una fanciulla di nome Salima che fuggendo via dalla festa dell’henné della sposa perde uno zoccoletto d’oro. Il principe non conosce nemmeno la sua futura sposa, ma se ne innamora perdutamente solo alla vista dello zoccoletto. La favola quindi sottolinea come nella tradizione islamica gli sposi vivano separati e senza conoscersi fino al giorno delle nozze. La versione vietnamita invece, vede protagonista Tam una contadina orfana di madre con una terribile sorellastra di nome Cam. Ad un certo punto della storia Tam viene uccisa dalla matrigna, ma grazie a successive reincarnazioni e con l’aiuto del Buddha può tornare a vivere con il suo principe. In Occidente le versioni più note sono quella di C. Perrault, basata su una precedente trascrizione di Giambattista Basile del 1634 (Zezolla detta Gatta Cenerentola), e quella dei fratelli Grimm.