Progetto indo-italiano per la conservazione delle pitture murali della grotta 17 di Ajanta, India, 2005-2012
Il complesso rupestre di Ajanta (Fig. 1), nello stato del Maharashtra, regione dell’India occidentale, è celebrato per le sue splendide pitture murali che rappresentano un unicum per completezza e conservazione nel panorama dell’arte indiana antica pre-islamica. Esse assumono un’importanza straordinaria soprattutto perché gettano luce su una lunga tradizione artistica ben precedente ad Ajanta stessa, di cui si sono quasi totalmente perse le tracce. La maestria narrativa, l’abilità a rendere ardite costruzioni spaziali, la finezza del modellato e le conoscenze tecniche dimostrate dai pittori ad Ajanta fanno supporre l’esistenza di una scuola o di più scuole di artisti già impegnati nella decorazione di dimore e di templi costruiti.
Il sito comprende 29 grotte buddhiste scavate lungo la parte ricurva che costeggia la gola formata dal fiume Waghora. Gli ambienti ricavati nella roccia appartengono a due tipologie architettoniche fondamentali: il vihara, luogo di residenza per i monaci provvisto di celle, e il caityagrha, la sala di preghiera e venerazione dalla tipica forma absidata a tre navate, caratterizzata dalla presenza dello stupa sul fondo.
A parte alcune grotte al centro del sito, databili tra il II e il I secolo a.C., la grande attività artistica ad Ajanta si concentra in un periodo di tempo molto breve, circa venti anni di scavo, che corrispondono al regno di Harishena, il grande sovrano vakataka che governò l’India occidentale tra il 460 e il 477 d. C., durante l’epoca gupta, uno dei momenti più fecondi per l’arte e la storia indiana. In questo periodo il sito beneficiò della collocazione lungo l’importante via carovaniera che connetteva i porti dell’India occidentale con le città più interne e fu quindi luogo di passaggio per pellegrini, monaci e mercanti, come testimoniato dalle numerose raffigurazioni scultoree e pittoriche del Bodhisattva Avalokiteshvara, nell’aspetto del protettore dei viaggiatori. Harishena era probabilmente di fede hindu ma tollerante nei confronti della religione buddhista, forse anche per ragioni commerciali e di utilità sociale. Vari fra i suoi feudatari e ministri erano infatti devoti laici (upasaka) del Buddha che provvedevano alle necessità del samgha (la comunità dei monaci) e, come documentano varie iscrizioni rinvenute nel sito, finanziarono lo scavo di alcune delle grotte più importanti di Ajanta.
A seguito dell’accordo siglato a gennaio del 2005 tra l’ambasciata italiana a Delhi, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il Ministero della Cultura indiano e l’Archaeological Survey of India, nell’autunno del 2005 sono iniziate le attività di prelievo, analisi e studio previste dal progetto per la conservazione dei dipinti murali della grotta 17 del sito (Fig. 2), una delle poche grotte di Ajanta in cui si conservi un ciclo pittorico quasi completo. Parte di un complesso di ambienti che include le grotte 18, 19 e 20 finanziato da Upendragupta della dinastia dei Rishika, feudatario del Vakataka Harishena, essa fu iniziata a scavare verosimilmente verso il 463.
La grotta mostra la pianta del tipico vihara di epoca vakataka ad Ajanta, con un portico a sei pilastri, una sala quadrata a venti colonne circondata da celle su tre lati e un’anticamera che conduce al sanctum (caitya mandiram), situato sul fondo della grotta, esattamente in asse con l’entrata (Fig. 2). Una grande immagine scolpita del Buddha seduto nella posizione del loto e con le mani atteggiate nel gesto della predicazione, affiancato dai due Bodhisattva Padmapani e Vajrapani, è situata al centro di questo piccolo ambiente (Fig. 4), in modo da consentire il rito della pradakshina.
I muri e il soffitto del portico, della sala centrale e dell’anticamera al sanctum sono completamente dipinti. I soffitti del portico e dei corridoi laterali della sala centrale presentano una decorazione a griglia che imita l’incastro delle travi lignee negli edifici strutturali, con raffigurazioni di motivi geometrici, fitomorfi e animali, interrotta al centro di ognuno di questi ambienti da un grande motivo circolare concentrico di tipo mandalico (Fig. 3). Nello spazio centrale della sala, circoscritto dalle venti colonne, il soffitto presenta lo stesso motivo circolare inquadrato da cornici quadrangolari concentriche. Le pareti dei vari ambienti sono decorate con differenti soggetti che raffigurano prevalentemente jataka, avadana, o scene di impianto gerarchico con rappresentazioni di Buddha predicanti dinanzi ad assemblee di uditori (Fig. 5).
Tra i jataka rappresentati vi figurano la storia di Vishvantara, il generoso principe che viene cacciato dal suo regno a causa della sua eccessiva munificenza, il Mahakapi jataka, lo Shaddanta jataka e il Ruru jataka, che narrano le azioni meritorie compiute dal Bodhisattva prima di divenire Buddha durante alcune sue nascite in forma animale, rispettivamente sotto le sembianze di una scimmia, di un elefante e un cervo; nella grotta, particolare rilievo assume inoltre la narrazione del Sutasoma jataka, la storia di un sovrano cannibale, finalmente placato dall’intervento del Bodhisattva. Come in altri ambienti del sito, nel vihara 17 è possibile osservare l’esistenza di diversi stili pittorici. Le grotte vakataka ad Ajanta furono probabilmente scavate in un periodo di tempo molto breve: ciò deve far presupporre la presenza di centinaia di operai, scultori, scalpellini e pittori divisi in squadre sotto la direzione di maestri e architetti. É possibile pertanto che la decorazione del vihara fosse stata affidata a pittori di differente formazione stilistica e tecnica.
Al progetto, finanziato dal Mibact e condotto da Caterina Bon Valsassina, all’epoca Direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro, ha partecipato un team composto da esperti dello stesso Istituto e del Museo Nazionale d’Arte Orientale.
Il programma ha previsto, fra le varie attività, lo studio della tecnica di esecuzione e dello stato di conservazione delle pitture parietali con analisi mirate effettuate su aree particolarmente rappresentative; il monitoraggio ambientale della grotta e dell’esterno; la valutazione dei materiali e dei metodi da impiegare per l’intervento,
con test effettuati direttamente sui dipinti murali in porzioni molto limitate, e la valutazione della situazione di danno dell’intero ciclo pittorico; la realizzazione di una indagine fotogrammetrica della grotta; la presentazione di un GIS alle autorità indiane. Nell’ambito della missione, il Museo Nazionale d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’ ha svolto un ruolo di supporto per l’approfondimento delle conoscenze storiche, storico artistiche e archeologiche sul sito, al fine di permettere una più corretta interpretazione dei dati che venivano raccolti durante la campagna di ricognizione. Durante i lavori è stata evidenziata inoltre l’esigenza di un approfondimento delle conoscenze relative alle tecniche pittoriche descritte negli antichi trattati di letteratura specialistica in lingua sanscrita, per comprendere se i procedimenti e i materiali costitutivi della pittura menzionati in tali testi trovano una effettiva corrispondenza nell’arte di Ajanta
I risultati delle ricerche sono stati pubblicati nei volumi: Caterina Bon Valsassina, Francesca Capanna, Marcella Ioele (a cura di), Ajanta dipinta/Painted Ajanta. Studio sulla tecnica e sulla conservazione del sito rupestre indiano/ Studies on the techniques and the conservation of the indian rock art site Ediz. italiana e inglese, vol. 1-2. Con DVD, Rome 2013; Laura Giuliano (a cura di), Ajanta e oltre: la pittura murale in India e Asia Centrale, Roma 2012.
(Testo con alcune modifiche tratto da: Laura Giuliano (a cura di), Ajanta e oltre: la pittura murale in India e in Asia Centrale , Roma 2012, pp. 31-32)