Tripoli
Nel saggio Secret Modernity del 2009, l’artista Peter Friedl (Oberneukirchen, 1960; vive e lavora a Berlino) analizza la continuità storica del colonialismo italiano dalla fine del XIX secolo, ripercorrendone i legami con il Futurismo, le teorie architettoniche e urbanistiche del Modernismo e del Razionalismo, il cinema neorealista, includendo le riflessioni di autori come Pier Paolo Pasolini sulla continuità tra il fascismo definito “archeologico” o “tradizionale” e la società dei consumi a lui contemporanea.
Nel modellino Tripoli, Friedl, dando forma alle sue ricerche, materializza un’architettura mai realizzata che era stata progettata per la città di Tripoli durante l’occupazione italiana dall’architetto Carlo Enrico Rava, che nel 1926 aveva fondato, insieme a Terragni, il Gruppo 7, un collettivo che si proponeva di unire le istanze del razionalismo architettonico proprie del Movimento Moderno alla tradizione classica mediterranea. Nello specifico, il palazzo progettato da Rava doveva accogliere il quartier generale dell’industria automobilistica FIAT, in una sintesi tra le costruzioni locali libiche e il linguaggio modernista del Gruppo 7.
L’artista, dando forma a quel progetto, crea una testimonianza che rivela l’impianto ideologico che connette l’ideologia modernista, industrialista ed estrattiva alla storia coloniale, ponendo l’accento sulla complicità e la responsabilità dell’industria italiana nelle occupazioni coloniali. In Costruire Colonia Terragni affermava: “Il primo e più importante principio della pianificazione urbana è ‘la separazione dell’architettura coloniale in due parti, con indigeni da una parte e i bianchi dall’altra.”
Questo plastico di un edificio mai realizzato ci fa riflettere quindi anche sull’impossibilità di separare le forme estetiche dell’architetture dalle loro ragioni storiche: un discorso che si può estendere anche al quartiere dell’EUR, in cui il Museo delle Civiltà ha sede. ML
