Uno sguardo al passato e prospettive future

La sistemazione della collezione africana, ha costituito già dagli anni ’70, una formidabile palestra di applicazione della nuova concezione scientifica della conservazione. L’intervento, peraltro molto complesso, ha visto coinvolti, per almeno un decennio, restauratori, curatori delle collezioni, architetti, con la collaborazione di studenti e formatori di scuole di conservazione, nella precisa  volontà di realizzare le migliori condizioni di conservazione delle collezioni, tenendo conto al contempo delle esigenze, di studio e di fruibilità dei manufatti.

Il risultato di questa lunga e difficile operazione, che oggi si potrebbe definire “intervento integrato” è stata la realizzazione di un deposito che, seppure, non sia dotato di complessi e costosi apparati tecnologici e abbia evidenziato nel tempo alcune problematiche di carattere pratico, si può considerare una delle prime esperienze in cui la multidisciplinarità sia stata applicata in campo conservativo.

Una completa campagna spazio-temporale di rilevamento dei dati climatici ha consentito di evidenziare le aree maggiormente soggette a fluttuazioni termoigrometriche, dotandole successivamente di sistemi d’intercapedine e di pannelli isolanti ed oscuranti. Il deposito è stato infine attrezzato di cassettiere e armadi scorrevoli  dotati di grate, ripiani, ancoraggi e supporti interni studiati e realizzati in funzione dei materiali che avrebbero dovuto ospitare, come  armi, scudi, abiti, finimenti e selle, vasellame, strumenti musicali, ornamenti ecc., in modo tale che ogni manufatto vi fosse correttamente sistemato in assenza di tensioni fisiche, protetto da polveri, da luce ecc.

Gli oggetti, sottoposti a un primo intervento conservativo, consistente in pulitura, fissaggio e ricomposizione di elementi a rischio di perdita o di distacco, consolidamenti, protezione in involucri studiati sulla base delle singole geometrie e dei materiali costitutivi, schedatura conservativa con valutazione del degrado e dell’ordine di priorità di eventuali successivi interventi di restauro, hanno trovato collocazione nel deposito e ancor oggi sono ben conservati e risultano facilmente reperibili.

Negli anni successivi molti oggetti sono stati sottoposti a restauro conservativo, come è mostrato dalle immagini di alcuni esempi di interventi di restauro di diverse tipologie di oggetti e materiali costitutivi.

Nell’esposizione “Africa“, aperta dal 1994 e nella mostra permanente “Le armi del guerriero“, la gran parte dei manufatti esposti sono stati restaurati negli anni novanta dello scorso secolo.

La collezione etnografica africana è stata nel tempo arricchita e integrata dall’acquisizione di nuove raccolte o di singoli oggetti che, prima di essere accorpati, sono stati sottoposti a lunghi periodi di “quarantena”, a  trattamento di disinfestazione in atmosfera modificata e ad interventi conservativi.

Ancora c’è molto lavoro da fare: alcuni oggetti tuttora attendono un intervento di restauro, altri necessitano di controlli, verifiche ed eventualmente nuove azioni conservative, alcune sistemazioni sono da migliorare, purtroppo il personale e le risorse sono sempre più scarsi…

La maschera da danza del tipo kholuka, usata presso la popolazione Yaka della Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) nelle cerimonie dell’inziazione giovanile, di forma conica, è ornata da un coccodrillo che azzanna il piede di una ragazza. Già dalla sua acquisizione alle collezioni africane (dono P. Bocci 2003), si trovava in un cattivo stato di conservazione (foto a sinistra): oltre a notevoli depositi di sporco e polvere e macchie d’umidità essa presentava rotture, elementi strappati e distaccati in tutto o parzialmente, pigmenti polverulenti e in gran parte caduti. L’intervento di restauro consistito in pulitura, consolidamento dei pigmenti, posizionamento e fissaggio degli elementi  rotti e/o distaccati, ha consentito un completo recupero dell’oggetto che oggi è in mostra nella esposizione Africa (foto a destra).