Intervento di restauro su un modellino d’imbarcazione “Sambuco”
L’intervento di restauro ha consentito di sottrarre al degrado, causato soprattutto da improprie condizioni di immagazzinamento e ambientale, questo modellino d’imbarcazione (Sambuco, dall’arabo sambuq) che fa parte di un gruppo di circa 20 modelli di barche appartenenti alla collezione dell’ISIAO.
Prima di parlarvi dell’intervento, vorrei dare qualche breve notizia sul Museo Coloniale.
Il museo Coloniale nasce nel 1923 come coronamento dell’avventura coloniale italiana in Africa Orientale e nell’Egeo.
Grazie ai viaggi e alle esplorazione compiute in Africa scoperte tra il 1850 e il 1870 era pervenuta in Italia una grande quantità di materiale scientifico ed etnografico che venne in parte destinata al Museo Preistorico ed Etnografico fondato dal noto studioso Luigi Pigorini nel 1875, e in parte destinata a mostre di propaganda tese ad illustrare i prodotti tipici delle attività economiche delle colonie.
Nel 1914 venne organizzata a Genova una mostra sull’arte del periodo coloniale (con prodotti della Cirenaica, Tripolitania, dell’Eritrea e della Somalia), che metteva in luce in modo organico la politica economica delle colonie in Africa Orientale e nell’Egeo. Il successo e il riconoscimento di tale mostra spinse il Governo a creare un Museo permanente che fosse un punto di riferimento per ogni collezione Africana giunta in Italia. Gli oggetti furono inviati presso il Museo Commerciale di Napoli, ma questo nel 1929 fu chiuso ed il materiale fu quindi trasportato nel museo Coloniale a Roma.
Dopo varie vicissitudini i reperti furono di nuovo trasferiti nei depositi del Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale, in seguito a Palazzo Chigi dove già risiedeva il Ministero delle Colonie, infine nel palazzo della Consulta a Roma dove venne unito all’Istituto delle Colonie. L’ultima sede fu il palazzo in via Aldovrandi all’interno del Giardino Zoologico, dove fu allestito il Museo, aperto al pubblico nel 1932 ma inaugurato il 21 ottobre 1935 da Mussolini con la nuova dicitura di Museo dell’Africa Italiana. Purtroppo nel 1937 il museo fu chiuso per inventariazione, che fu poi ripetuta nel 1938 e ancora nel 1964 e nel 1987.
Nel 1947 il Museo venne riaperto e incrementato con opere d’arte (quadri, xilografie, stampe, sculture).
Con la soppressione del Ministero dell’Africa Orientale nel 1953 la raccolta venne affidata all’Istituto Italo-africano e nel 1972 il Museo fu definitivamente chiuso. Nel 1995 l’Istituto Italo-africano si fonde con l’ Istituto italiano per il Medio ed Estremo oriente (ISMEO), dando vita all’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente (ISIAO), che ne eredita la collezione.
Dal 2011 al 2017 tutta la raccolta viene trasferita dal palazzo di via Aldovrandi e dal Palazzo Brancaccio, ex sede del Museo Nazionale Arte Orientale “Giuseppe Tucci” ai depositi del Museo Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini”, che oggi insieme al Museo d’Arte Orientale, al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari e al Museo dell’Alto Medioevo forma il Museo delle Civiltà (MuCiv) all’Eur.
Ora parliamo del nostro Sambuco. Che cosa è?
Una tradizionale imbarcazione araba con una o più vele di forma triangolare (chiamate anche vele latine), tipica delle coste della Penisola Araba, dell’India e dell’Africa Orientale a sud del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, usata per la pesca e per il commercio. In arabo veniva chiamato “Dhow” (Dau, che significa barca), in seguito sambuq che in lingua italiana diviene Sambuco.
Tale imbarcazione era molto diffusa e comune, già 4000 mila anni fa veniva usata dai mercanti del Sultanato dell’Oman per risalire il Golfo Persico e commerciare in lana, olio e cereali.
Gli arabi si spinsero con tali imbarcazioni fino alle coste cinesi per raccogliere conchiglie, chiodi di garofano, incenso ecc. Marco Polo rimase così impressionato da queste imbarcazioni che ne parlò nel Milione.
Queste imbarcazioni vennero molto usate per le campagne di conquiste lungo le rotte del Mar Rosso.
Costruzione di un Sambuco
Il sambuco è costruito con legno duro di teck e acacia. Il fasciame veniva assemblato tramite una particolare legatura eseguita con fibra di cocco, la corda veniva passata più volte nelle coppie di fori praticate orizzontalmente in modo formare un’orditura ad x. Le giunture e la calafatura venivano riempite con resina, le corde invece erano trattate con olio di pescecane. Le assi e il fasciame venivano fissati con perni di legno (oggi sostituiti con chiodi), le vele sono di cotone grezzo, legate al pennone con cime di canapa e avevano un taglio di forma triangolare.
Oggi l’utilizzo dei sambuchi nel Mar Rosso è molto ridotto, se ne vedono ancora nell’Oman e Nello Yemen, in Egitto e nel Sudan ne hanno vietato la navigazione perché erano utilizzati per il contrabbando di alcolici.
Restauro
Prima di iniziare l’intervento, si è cercato di individuare tramite un’attenta analisi visiva le criticità del modellino:
- depositi coerenti di polvere molto grassa su tutta la superficie
- sollevamenti e caduta del substrato pittorico
- fessurazioni sullo scafo
- elementi mancanti
- elementi degli alberi e del pennone spezzati
- scuciture delle vele
- macchie di origine biologiche sulle vele
- attacchi biologici
- attacchi di insetti
- albero completamente eroso da tarli
- vele irrigidite dai depositi polverulenti
- abrasioni e graffi sullo scafo
- depositi incoerenti (carte di sigarette, paglia di vecchi imballaggi, frammenti di vetro, chiodi, trucioli di scarto etc.)
- ossidazione sulle parti metalliche
- lacune
Interventi:
- spolveratura a pennello e con microaspiratore
- pulitura con soluzione idroalcolica (dopo averne eseguito alcuni saggi)
- smontaggio delle vele
- smontaggi delle cime non pertinenti e montate erroneamente
- ricostruzione delle parti mancanti con balsite pigmentata
- incollaggio del pennone e degli elementi lignei con colle viniliche
- lavaggio delle vele con acqua demineralizzata e detergente neutro
- posizionamento delle vele ed eliminazione delle pieghe
- pulitura dello scafo con vapore a freddo utilizzando con generatore ad ultrasuoni
- cucitura delle vele agli alberi con filo di cotone
- ripristino delle cime con corde diverse rispetto alle originali, per mettere in evidenza l’intervento di restauro
- sostituzione dell’albero eroso
- integrazioni con balsite pigmentata
- ritocchi di colore
- pulitura delle parti metalliche ossidate con idonei solventi
- protezione superficiale con cera d’api e carnauba al 50%