«Man mano che passa il tempo, comprendiamo sempre meglio quanto sia stata importante l’opera di Giuseppe Tucci. A tanti anni di distanza dalla loro pubblicazione, le pagine di due sue opere fondamentali; Indo-tibetica (1932-1941) e di Tibetan Painted Scrolls (1949) sono fonte continua di insegnamento. Le sue spedizioni nel Tibet e nel Nepal hanno aperto campi di studio del tutto nuovi, hanno creato un collegamento, tra l’Italia e quei lontani Paesi, tuttora vivo. Le campagne di scavo da lui promosse, in Pakistan, in Iran, in Afghanistan, in Nepal hanno segnato delle tappe fondamentali nella storia degli studi e sono sempre feconde di sviluppi.»[1]

Giuseppe Tucci nasce a Macerata il 5 giugno 1894. Nell’ottobre del 1919 si laurea in Lettere presso l’Università di Roma. In seguito soggiorna in India dal 1925 al 1930 incaricato – grazie anche ai buoni uffici del suo maestro Carlo Formichi – dell’insegnamento di italiano, di tibetano e di cinese presso le Università di Shantiniketan e di Calcutta.

È proprio in questo primo soggiorno indiano che si focalizza l’interesse specifico di Tucci per i grandi costrutti teoretico-speculativi del subcontinente, a cominciare soprattutto dal Buddhismo, percepito come la religione dell’‘umanesimo indiano’, ma senza escludere lo studio, come sempre appassionato e puntuale, dell’Induismo. In India ebbe anche modo di incontrarsi con esponenti della cultura indiana contemporanea e, tra tutti, con i maggiori: Rabindranath Tagore, Gandhi, Radhakrishnan, Nehru. Partecipò al profondo dibattito – molto in voga tra gli intellettuali del periodo precedente all’indipendenza, in quanto gravido di conseguenze tanto culturali che politiche – volto a rettificare il concetto della presunta derivazione delle arti figurative indiane dall’ellenismo, contribuendo a restituire all’India il primato delle proprie originali concezioni estetiche.

Nel 1929 riceve la nomina ad Accademico d’Italia e l’anno successivo ottiene la Cattedra di Lingua e Letteratura cinese all’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Nel 1932 diviene Ordinario di Religioni e Filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma.

Dal 1929 al 1948 compie otto spedizioni in Tibet – ivi compreso il Tibet Occidentale, territorio oggi in gran parte in India – e sei in Nepal dal 1950 al 1954.

Nel 1933, insieme a Giovanni Gentile, promuove la fondazione dell’Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente (IsMEO)[2] e ne è Presidente dal 1947 al 1978; nel 1979 ne è nominato Presidente Onorario. Muore a San Polo dei Cavalieri il 5 aprile 1984.

Sempre più diffusa e autorevole si fa l’opinione che vede in Giuseppe Tucci il maggiore fra i tibetologi. Le numerose opere scientifiche da lui prodotte, cui si affiancano i molti lavori rivolti ad un pubblico più ampio, hanno contribuito al diffondersi in Italia della conoscenza delle civiltà dell’Asia. Tra le prime si ricordano: Indo-Tibetica, Tibetan Painted Scrolls, Il libro tibetano dei morti e Teoria e pratica del mandala; tra i secondi: Santi e briganti nel Tibet ignoto, A Lhasa e oltre, Tra giungle e pagode, La via dello Swat, Nepal: alla scoperta del regno dei Malla e Tibet, paese delle nevi[3].

Il riconoscimento della comunità scientifica e politica internazionale si sostanziò attraverso l’attribuzione di titoli accademici, di onorificenze e di premi. Fra questi ultimi, quello che ebbe più caro fu il Premio Jawaharlal Nehru per la Comprensione Internazionale, istituito nel 1966 alla memoria di Martin Luther King Jr, attribuitogli nel 1976[4].

Una particolare attenzione dedicò all’insegnamento, tanto che per alcuni tra i maggiori orientalisti contemporanei egli rimane, per eccellenza, il Maestro.

«Sebbene incoraggiasse i suoi giovani allievi, proprio perché sollecito del loro avvenire, non alimentò mai in loro facili illusioni. “Mi corre il dovere (così nel 1974) di farvi accorti che la vostra missione, giovani amici, non è agevole; che la vostra passione se non sarà incoraggiata, può avvizzire come un fiore raro, cui l’acqua difetti. Ultimati con successo i vostri corsi, s’apre per voi un periodo della vita lietissimo ed orrendo insieme: siete padroni di voi stessi, ma non riceverete nessuna garanzia di occupazione. Comincerà per voi la via crucis dell’intervallo angosciato fra l’università e gli obblighi della vita. Non esiste da noi nessun collegamento, o esilissimo, fra scuole e occupazione; per non pochi gli studi cui hanno dedicato l’ardore e il fuoco dei loro anni migliori corrono il rischio di restare un remoto ricordo. L’ordinamento universitario non concede largo posto agli specialisti di cose orientali; l’assorbimento negli uffici è lungo e difficile”»[5].

Nel 1957 Giuseppe Tucci promuove la fondazione del Museo Nazionale d’Arte Orientale insieme a Domenico Faccenna e a Guglielmo De Angelis D’Ossat:

«Durante la campagna di scavo nella valle dello Swat (Pakistan), nell’Area Sacra di Butkara I, erano venute alla luce numerose sculture che, trasferite in Italia in seguito all’accordo tra Governo del Pakistan e IsMEO, richiedevano un luogo dove essere custodite, studiate ed esposte al pubblico; d’altra parte si era osservato che mancava in Italia un punto di riferimento nazionale per l’arte orientale: la tenacia e l’impegno di Giuseppe Tucci, di Domenico Faccenna, direttore della Missione di scavo in Pakistan – che sarà poi Direttore del Museo per vent’anni, tra il ’57 ed il ’77 -, e di Guglielmo De Angelis D’Ossat, allora Direttore Generale delle Belle Arti, resero possibile la creazione del Museo Nazionale d’Arte Orientale, che ospita oggi tante delle opere portate in Italia proprio a seguito delle spedizioni di Giuseppe Tucci, e che a lui speriamo possa essere presto intitolato.»[6].

Il Museo è stato intitolato a Giuseppe Tucci il 31 maggio 2005.

[1] D.MAZZEO, in M.R.ANTONELLI, M.C.De SANCTIS (a cura di), Giuseppe Tucci: un maceratese nelle terre sacre dell’Oriente, Comune di Macerata, Macerata 2000, p. 3.

[2] Istituto promotore di importanti iniziative, oggi mutato in IsIAO attraverso la fusione con l’Istituto Italo-Africano (IIA), intrattiene a tutt’oggi intense relazioni con numerosi paesi orientali. L’IsIAO, Ente di Diritto Pubblico non economico che succede ai precedenti Istituti continuando a perseguire le finalità dell’uno e dell’altro e salvaguardando di entrambi il patrimonio di competenze e di esperienze, ha lo scopo di promuovere e sviluppare i rapporti culturali fra l’Italia e i Paesi dell’Asia e dell’Africa. Varie le attività dell’IsIAO, tra le quali: predisporre e realizzare programmi di studi e ricerche, realizzare progetti di cooperazione, organizzare missioni archeologiche, attuare progetti per la conservazione del patrimonio storico e culturale dei Paesi orientali e africani. Dal 1951 organizza corsi triennali di lingue e culture orientali, e oggi anche africane.

[3] Bibliografia, parziale quanto essenziale, di G.TUCCI: Indo-Tibetica I: “mc’od rten” e “ts’a ts’a” nel Tibet indiano ed occidentale, Roma 1932; Indo-Tibetica II: Rin c’en bzan po e la Rinascita del Buddhismo, nel Tibet intorno al mille, Roma 1933; Cronaca della missione scientifica Tucci nel Tibet occidentale (1933), Roma 1934; Indo-Tibetica III: The Temples of Western Tibet and their Artistic Symbolism – The Monasteries of Spiti and Kunavar, New Delhi 1988 (1935); Indo-Tibetica III.2: The Temples of Western Tibet and their Artistic Symbolism-Tsaparang, New Delhi 1989 (1935); Indo-Tibetica IV.1:Gyantse and its Monasteries-General description of the temples, New Delhi 1989 (1941); Indo-Tibetica IV.2:Gyantse and its Monasteries-Inscriptions, New Delhi 1989 (1941); Indo-Tibetica IV.3:Gyantse and its Monasteries-Plates, New Delhi 1989 (1941); Tibetan Painted Scrools, Roma 1949; A Lhasa e oltre: diario della spedizione nel Tibet MCMXLVIII, Roma 1952; Teoria e Pratica del Mandala, Roma 1969 (1961); Il libro tibetano dei morti, Torino 1972; Tibet, Genève 1975; Tibet Ignoto – una spedizione tra santi e briganti, nella millenaria terra del Dalai Lama, Roma 1978; Le Religioni del Tibet, Roma 1980 (1970).

[4] Tra i molti titoli accademici raccolti a livello internazionale, Tucci ha ricevuto dall’India la Laurea honoris causa dell’Università di Delhi (1953) e il ‘Deshikottama’ dell’Università Vishvabharati di Shantiniketan (1961). Tra le varie membership, era Socio ordinario dello Himalayan Club (Calcutta-Bombay, 1950) e Socio onorario della Asiatic Society (Calcutta, 1971). Tra i premi ricevuti, quelli indiani sono stati: la Medaglia d’oro della Calcutta Art Society (1965); il già citato Premio Jawaharlal Nehru per la Comprensione Internazionale (1976); la Medaglia del Centenario di Tagore (1978).

[5] R.GNOLI, Ricordo di Giuseppe Tucci, Serie Orientale LV , IsMEO, Roma 1985, pp. 34-35.

[6] D.MAZZEO: ibidem.