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Data

08 Mar 2019
Expired!

Ora

16:30 - 18:30

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Conferenza

La briganta nel Presepe. Misteri, leggende e sorprese nella vita di Filomena Pennacchio, antieroina dell’Ottocento.

Incontro con Filippo Maria Gambari 

Le splendide ed accurate figure di presepe conservate nelle collezioni del Museo delle Arti e Tradizioni Popolari sono un variegatissimo tesoro di simboli, espressività artistica, capacità artigianale, in cui è facile trovare sorprese o addirittura scoperte imprevedibili.

Tra i piccoli capolavori presenti in Museo realizzati intorno al 1890 a Caltagirone nella celebre bottega di Salvatore Morretta, spiccano le statuette di un brigante e di una brigantessa che indicano con un dito il bambinello, come a segnalare che anche i briganti riconoscono il “vero re” (non senza un velato doppio senso in chiave antipiemontese ed antisabauda, legato alla formale posizione legittimista filoborbonica del brigantaggio meridionale).

Alcuni elementi permettono di riconoscere direttamente e senza dubbi la brigantessa in questione: come dice il tribunale di guerra di Avellino che nel 1865 la processerà e condannerà, lei è la Filomena Pennacchio, assurta all’attenzione delle cronache giudiziarie “associandosi nell’agosto 1862 alla banda comandata dal famigerato capobrigante Giuseppe Schiavone ora fucilato, del quale divenne pure la druda, e col quale pure avrebbe scorso le pubbliche vie e le campagne commettendo crimini e delitti”. Si tratta dunque della “famigerata” Filomena Pennacchio, catturata all’età di 23 anni nel novembre 1864 e condannata dal tribunale speciale di Avellino nel giugno 1865, ai sensi della spietata Legge Pica, a vent’anni di detenzione dura. Ma come mai a tanti anni e tanti chilometri di distanza ancora si rievocava la sua figura? Come mai i cantastorie siciliani la raffigureranno a tinte fosche nei loro cartoni ancora nel ‘900?

L’immagine della brigantessa feroce e selvaggia, sfrenata anche nel rapporto con gli uomini, che emerge inquietante da resoconti fin troppo romanzati come quello del 1884 dell’ufficiale sabaudo Angiolo De Witt, Storia politico-militare del brigantaggio nelle provincie meridionali d’Italia, diventato un classico del suo genere e fonte d’ispirazione per i racconti popolari, contrasta macroscopicamente con quanto è stato appurato da recenti ricerche storiche, ulteriormente arricchite e confermate dalla disponibilità online di tante informazioni anagrafiche. Si scopre così che le “brigantesse”, e nello specifico la Pennacchio, erano diventate naturale strumento e bersaglio dei peggiori stereotipi antifemminili dell’epoca, dipinte come mostruose figure all’antitesi di quello che avrebbe dovuto essere una donna brava ed onesta, devota e sottomessa, combattute e cacciate come bestie selvagge, più ancora dei loro colleghi maschi. 

La realtà storica ci permette invece di avvicinare la vera Filomena Pennacchio, comprendendo come una povera contadina, orfana e analfabeta, lottava a suo modo e con i pochi mezzi a sua disposizione per difendersi ed affermarsi in un mondo contrassegnato dalla prepotenza e dalla violenza maschile. La vicenda emblematica di questa antieroina dei suoi tempi non si conclude però in una tetra prigione delle Alpi Piemontesi e ci riserva una volta tanto un finale imprevisto che, come in qualsiasi giallo, sarà scoperto solo alla fine della storia che andremo a raccontare.

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