Le origini e la storia delle collezioni
Organizzate su 2 piani del Palazzo di Arti e Tradizioni Popolari, le Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari Italiane espongono circa 150.000 opere e documenti, circa 500.000 negativi e circa 25.000 materiali librari riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni, affrontando temi quali la memoria popolare, i sistemi di connessione e comunicazione, le attività festive e rituali (spettacoli e teatro di piazza, pratiche della magia e della spiritualità popolare, giochi e intrattenimenti), le pratiche del vivere quotidiano e dell’abitare, la gestione della terra, del mare e delle risorse (i mestieri tradizionali e il lavoro agricolo, pastorale e marinaro). Il significato culturale, politico e sociale delle collezioni è da rinvenirsi nella loro progressiva individuazione disciplinare e formazione storica lungo tutto il XX secolo, che si articola nei seguenti passaggi:
- Lamberto Loria
La necessità di raccogliere e tutelare le testimonianze etnografiche italiane in un’apposita sede era già stata avvertita dall’archeologo Luigi Pigorini, direttore del Regio Museo Preistorico Etnografico situato al Collegio Romano. In una relazione inviata nel 1881 al Ministero della Pubblica Istruzione, Pigorini richiedeva spazi per allestire una nuova sezione del Regio Museo che avrebbe dovuto «comprendere ciò che hanno tuttora di speciale le nostre popolazioni campagnole nelle industrie, negli utensili ed ornamenti, nelle fogge degli abiti», ma la sua richiesta non venne accolta.
Nel 1905 l’etnografo Lamberto Loria, dopo numerose spedizioni in Russia, India, Egitto, Nuova Guinea ed Eritrea, si rese conto della necessità di compiere ricerche anche in Italia, per documentare quella cultura agropastorale che, già agli inizi del 1900, stava subendo profonde modifiche. Loria si proponeva di raccogliere documenti e manufatti popolari italiani e di promuovere lo studio del folklore: una ricerca, quella sugli usi e i costumi popolari, a suo avviso anche di valore civile, che avrebbe potuto contribuire a far conoscere agli Italiani le proprie culture popolari, rafforzando in tal modo il pensiero e il sentimento nazionali.
I progetti di Loria si concretizzarono nel settembre del 1906 con la costituzione a Firenze del primo Museo di Etnografia Italiana. Il Museo raccoglieva categorie di oggetti e documenti riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni, radunati agli inizi del XX secolo da Loria e dai suoi collaboratori Aldobrandino Mochi, Alessandro D’Ancona, Francesco Baldasseroni, Giuseppe Pitrè e Raffaele Corso. Dai 2.000 oggetti esposti nel 1906, già nel 1908 la collezione era arrivata a comprenderne 5.000. Nel 1906 Ferdinando Martini, Ministro della Pubblica Istruzione e Vice Presidente del Comitato per l’Esposizione Internazionale che si sarebbe tenuta nel 1911, aveva proposto a Loria di trasformare il Museo in Mostra Etnografica garantendogli, alla sua chiusura e come sua diretta conseguenza, la realizzazione di un Museo Nazionale dedicato all’etnografia italiana e posto sotto la tutela dello Stato. Nel 1908 Loria accettò la proposta e iniziò a coordinare una serie di ricerche finalizzate all’acquisizione di materiali provenienti dalle varie regioni, alle quali presero parte esponenti del mondo accademico, insegnanti, medici, studiosi locali, sacerdoti, collaboratori sparsi nelle diverse province d’Italia. Nel 1911 la raccolta comprendeva 30.000 oggetti etnografici riferiti agli usi popolari italiani, caratteristici delle diverse regioni e la costituzione del nuovo Museo era solo parte di un più vasto programma culturale e cognitivo, che prevedeva un’indagine rigorosa sulla diversità delle usanze e dei costumi, delle espressioni di pratiche tradizionali, dei vari aspetti della ritualità localizzabili nel tempo e nello spazio.
- La Mostra del 1911
Nel 1911 inaugurò quindi l’Esposizione Internazionale (che si svolse contemporaneamente a Firenze, Roma e Torino, le 3 capitali del Regno d’Italia), concepita come celebrazione dei progressi della nazione italiana negli ultimi cinquant’anni, ovvero quelli trascorsi dall’Unità d’Italia nel 1861. A Roma i festeggiamenti per le celebrazioni erano concentrati nella Mostra Etnografica e nella Mostra Regionale, situate nella zona urbanizzata dell’ex Piazza d’Armi, e nelle iniziative collaterali organizzate sulla riva destra del Tevere.
Asse portante dell’intera esposizione era una sorta di viaggio attraverso l’Italia realizzato con 14 padiglioni regionali, edifici che riproducevano gli elementi dei modelli più caratterizzanti e di maggiore bellezza della regione di rappresentanza, circondati da una quarantina di “gruppi etnografici”, veri e propri quadri viventi in cui, per esempio, Napoli era stata ricostruita attraverso uno spaccato del vecchio quartiere di Santa Lucia o la Sardegna attraverso i nuraghi e le case del Campidano. La Mostra Etnografica fu preceduta da un enorme lavoro di ricerca e di schedatura finalizzato alla costituzione del nuovo Museo Nazionale di Etnografia Italiana che, nelle intenzioni di Loria, avrebbe strutturalmente favorito gli studi in campo folklorico.
- Il primo Congresso di Etnografia Italiana del 1911
Per mantenere vivo l’interesse per la realizzazione del nuovo Museo, a conclusione dell’Esposizione Internazionale, nell’ottobre del 1911, si svolse il primo Congresso di Etnografia Italiana, con 2 obiettivi: promuovere gli studi intorno agli usi e ai costumi del popolo italiano e definire le linee metodologiche per l’ordinamento del futuro Museo Nazionale di Etnografia Italiana, stabilendone il ruolo sociale nel contesto della conservazione e della tutela delle attività tradizionali regionali.
- Dalla fondazione del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari (1956) al Museo delle Civiltà (2016)
La morte di Loria, avvenuta il 6 aprile 1913, e il sopraggiungere della I Guerra Mondiale impedirono la realizzazione del nuovo Museo. Al termine della guerra, l’interesse per le tradizioni popolari si riaccese e, con il Regio Decreto del 10 settembre 1923 n. 2111, il nuovo Museo venne istituito ufficialmente. Sempre nel 1923, la riforma decretò l’insegnamento dell’etnografia regionale nelle scuole primarie e complementari mentre, nel 1927, il Ministro della Pubblica Istruzione auspicava che la Facoltà di Lettere e Filosofia «avesse il necessario compimento nell’esame dei costumi e delle regioni con le loro passioni, le loro memorie, le loro tradizioni».
Nel 1936 il problema della sede non era però stato ancora risolto. La soluzione sembrò apparire nel quadro dell’Esposizione Universale di Roma (E.U.R.) che si sarebbe tenuta a Roma nel 1942, poiché in essa veniva inclusa una mostra di tradizioni popolari e assegnato a essa il Palazzo delle Tradizioni Popolari, che solo nel decennio successivo diverrà la sede permanente del Museo. Purtroppo gli eventi bellici della II Guerra Mondiale ritarderanno l’ultimazione del Museo e la sistemazione definitiva della collezione che, conservata in casse a Villa d’Este, sarà notevolmente danneggiata a causa del bombardamento di Tivoli nel 1943. Nonostante ciò lo Stato italiano acquisì nel frattempo anche la collezione enciclopedica di Evan G. Gorga, i cui oggetti afferenti alle culture popolari italiane entrarono a far parte della collezione.
Nel 1954 venne firmato il contratto d’affitto del Palazzo delle Tradizioni Popolari all’EUR e il 20 aprile 1956 fu inaugurato il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari, confluito nel 2016 nel Museo delle Civiltà.
La Collezione di Arti e Tradizioni Popolari Italiane
Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari
Il percorso museale si articola attualmente in 3 sezioni tematiche, tra loro connesse. La prima sezione descrive le varie cerimonie religiose e comprende i modelli in scala o le monumentali versioni originali delle macchine processionali dei Ceri di Gubbio, della Macchina di Santa Rosa di Viterbo, dei Gigli di Nola, della “macchina del grano” di Foglianise, del Carro di Santa Rosalia di Palermo, a cui seguono le sale dedicate ai trasporti (che comprende anche alcuni esemplari di carretti siciliani) e a feste, giochi, spettacoli di piazza (fra cui teatri ambulanti di burattini, marionette e pupi), con i relativi abiti e ornamenti che, fra altre, documentano anche le differenti tradizioni del Carnevale e gli influssi su di esse della cosiddetta Commedia dell’arte. Nella seconda sezione si approfondisce la dimensione dell’abitare domestico, con i suoi arredi e utensili, i gesti e le abitudini quotidiane, nello scandirsi della vita umana dalla nascita alla morte. La terza sezione analizza gli scenari dei vari mestieri, dall’artigianato al lavoro marinaro, agricolo e pastorale, riflettendo sulle economie tradizionali e sul loro uso delle risorse naturali.
In occasione della Mostra Etnografica del 1911 Loria radunò inoltre una straordinaria collezione di figure presepiali delle varie regioni italiane: oltre mille pezzi che offrono un contributo fondamentale alla comprensione del poliedrico fenomeno storico-antropologico italiano rappresentato dal presepe. Un ruolo primario è occupato dalle straordinarie figure napoletane del XVII e XIX secolo, che permettono di “rappresentare” tutte le tematiche ispirate ai Vangeli, dall’Annunciazione alla Natività, sino alla Fuga in Egitto, celebrando il grande evento del “mistero” divino, spettacolo sacro e profano al tempo stesso. Arte italiana per eccellenza, che rivive oggi sulle bancarelle di San Gregorio Armeno, il presepe è un “paradiso dei contrasti” che coniuga meraviglia, spettacolo, storia religiosa, immaginario devozionale, vita quotidiana, sapienza artigianale di figurari, architetti, scenografi e pittori che hanno garantito la trasmissione e diffusione di questa tradizione popolare, facendone anche uno dei simboli delle collezioni del Museo delle Civiltà.
Dalle collezioni
Le informazioni contenute nelle didascalie derivano da una documentazione storica o da catalogazioni e inventariazioni che non riflettono necessariamente una conoscenza completa o attuale da parte del Museo delle Civiltà. La revisione progressiva del database delle collezioni è in corso e sarà costantemente aggiornata sulla base della ricerca condotta e attivando confronti e collaborazioni anche con soggetti esterni con particolare attenzione agli studi sulle provenienze.
Archivio in aggiornamento