Le origini e la storia delle collezioni #1
Dal Regio Museo Nazionale Preistorico Etnografico (1875) al Museo delle Civiltà (2016)
Le Collezioni di Arti e Culture Asiatiche del Museo delle Civiltà sono composte da opere provenienti dal Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” e dal Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”, entrambi confluiti nelle collezioni del Museo delle Civiltà nel 2016. Nel contesto del piano strategico Grande Progetto Beni Culturali finanziato dal Ministero della Cultura, Il Museo delle Civiltà sta attualmente curando il riallestimento complessivo e progressivo di queste collezioni, ora unificate, che culminerà nel 2026 con la loro riapertura al pubblico al piano terra del Palazzo delle Scienze.
Nel 1875 viene fondato dall’archeologo Luigi Pigorini (1842-1925) il Regio Museo Nazionale Preistorico Etnografico di Roma nel palazzo del Collegio Romano a Roma. Secondo le intenzioni del suo fondatore, la nuova istituzione nasce per raccogliere in un museo “centrale”, nella nuova capitale del Regno, la documentazione delle culture preistoriche italiane, europee ed extraeuropee e delle culture etnografiche extraeuropee, definite “primitive”.
I primi oggetti di natura etnografica del Regio Museo, raccolti tra 1635 e il 1680 dal gesuita Padre Athanasius Kircher, provenivano dalle missioni dei Cappuccini in Congo ed Angola e da quelle dei Gesuiti in Cina, Brasile e Canada ed erano allora conservati nel Museo Kircheriano.
Al nucleo kircheriano si aggiunsero le “curiosità esotiche” riportate in Europa dopo l’arrivo dei primi europei nelle Americhe e conservate nelle più importanti collezioni dell’Italia settecentesca – come quelle del Cardinale Flavio Chigi Senior e del Cardinale Stefano Borgia – e gli oggetti giunti in Italia tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo a opera di mercanti, viaggiatori e missionari.
Le collezioni di interesse etnografico si arricchirono grazie a donazioni e acquisti, fra cui dalla Casa Reale Savoia che donò numerosi oggetti come gli strumenti musicali provenienti dall’Indostan e gli ornamenti femminili delle culture nomadi del nord Africa. Da altri punti di vista, Pigorini stringeva accordi, sia tramite il Ministero della Pubblica Istruzione che personalmente, con i comandanti delle spedizioni scientifiche transoceaniche organizzate dal Ministero della Marina, affinché fosse riportato in Italia il maggior numero possibile di oggetti e fotografie dalle terre esplorate durante le navigazioni. Inoltre la Società Geografica Italiana, che aveva sede nel piano terreno del Collegio Romano, depositava nel Regio Museo gli oggetti di interesse etnografico provenienti dalle sue spedizioni.
Il primo allestimento del Regio Museo al Collegio Romano era il risultato di visioni del mondo che ponevano le civiltà umane su una immaginaria scala evolutiva (che sarà funzionale anche alle narrazioni e alle pratiche coloniali), per cui le produzioni provenienti dal continente asiatico erano poste all’apice e costituivano le prime sale del percorso espositivo. Il visitatore proseguiva la visita attraverso le sale dedicate alle Americhe, iniziando dal nord del continente e proseguendo verso sud, per poi giungere alle sale dedicate alle raccolte oceaniane e, infine, a quelle incentrate sugli oggetti africani.
Tra il 1975 e il 1977 il Museo Nazionale Preistorico Etnografico viene trasferito nel Palazzo delle Scienze all’EUR, per lasciare i locali del Collegio Romano al nuovo Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. In questa sede conserva la sua originaria organizzazione in 2 settori: uno dedicato alla Preistoria e uno all’Etnografia Extraeuropea.
In seguito alla divaricazione scientifica e accademica tra paletnologia ed etnoantropologia, verificatasi già nei primi 2 decenni del Novecento, il dispositivo della comparazione tra società preistoriche e società di interesse etnografico, proposto e attuato da Pigorini, si sarebbe tuttavia interrotto. L’apice della progressiva crisi degli originari fondamenti museologici dell’Istituto, iniziata al Congresso di Etnografia Italiana del 1911, venne raggiunto negli anni ’70, con il trasferimento delle collezioni nell’attuale sede dell’EUR.
È con l’avvio della rilettura critica della sua storia che sono emersi molti spunti utili a rilanciarne la missione istituzionale, attraverso anche i cambiamenti dell’allestimento museale, a partire dagli anni Novanta del XX secolo, incentrati sulle nuove prospettive scientifiche e accademiche.
Raccogliendo criticamente l’eredità delle precedenti interpretazioni, il Museo delle Civiltà, a partire dalla sua istituzione nel 2016, svolge le proprie attività di ricerca con approcci teorici e metodologici che si distaccano da alcuni dei presupposti che avevano caratterizzato la nascita dell’istituzione alla fine del XIX secolo e dai suoi metodi di ricerca ancora di matrice positivista. Nel museo non è quindi più applicata la comparazione tra “primitivo” preistorico e “primitivo” etnografico, ed è con questa stessa logica che l’attuale presentazione delle collezioni extraeuropee del Museo delle Civiltà sarà riallestita e periodicamente approfondita.
Le origini e la storia delle collezioni #2
Dal Museo Nazionale d’Arte Orientale (1957) al Museo delle Civiltà (2016)
Le Collezioni di Arti e Culture Asiatiche del Museo delle Civiltà sono composte da opere provenienti dal Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” e dal Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”, entrambi confluiti nelle collezioni del Museo delle Civiltà nel 2016. Nel contesto del piano strategico Grande Progetto Beni Culturali finanziato dal Ministero della Cultura, Il Museo delle Civiltà sta attualmente curando il riallestimento complessivo e progressivo di queste collezioni, ora unificate, che culminerà nel 2026 con la loro riapertura al pubblico al piano terra del Palazzo delle Scienze.
Il Museo Nazionale d’Arte Orientale fu istituito nel 1957 con Decreto del Presidente della Repubblica per dotare «il nostro Paese di un Istituto di cui è privo, pur vantando l’Italia una lunga tradizione di ricerche e di studi orientalistici» (DPR n. 1401/1957). L’istituzione avvenne su impulso di uno dei massimi accademici internazionali nell’ambito degli studi sulle religioni, le filosofie e i sistemi di pensiero asiatici, Giuseppe Tucci (1894-1984), a cui il Museo sarebbe stato intitolato nel 2010. Già nel 1933 Tucci era stato il co-fondatore, con Giovanni Gentile, dell’IsMEO-Istituto per il Medio e l’Estremo Oriente, il cui scopo era quello di promuovere rapporti culturali, economici e politici tra Italia e i Paesi asiatici. Per Tucci il nuovo Museo rappresentava uno strumento da affiancare in effetti all’IsMEO, nell’organizzazione di ricerche archeologiche e restauri di monumenti, nonché un punto di riferimento per gli studi orientalistici in Italia.
Il museo aprì al pubblico a Roma nel 1958. in alcune sale del piano nobile di Palazzo Brancaccio (se anche dell’IsMEO), che avevano ospitato l’appartamento ottocentesco dei principi Salvatore ed Elizabeth Brancaccio. Le sale furono allestite dall’architetto Francesco Minissi che – celando con tessuti e contropareti le decorazioni – fece spazio così alle collezioni, esposte secondo un criterio geografico e, all’interno delle rispettive sezioni, cronologico. La mostra inaugurale – curata da Mario Bussagli, che fu anche il primo direttore del museo – era dedicata all’arte del Gandhara (crocevia culturale tra Pakistan settentrionale Afghanistan sud-orientale), espose reperti provenienti per la maggior parte da scavi archeologici promossi e condotti dall’IsMEO (il cui Presidente in quegli anni era lo stesso Tucci) a partire dal 1956 nel sito di Bukhara, dove fu rinvenuta un’importante area sacra buddhistica.
Successivamente, la collezione si arricchì attraverso una politica di scambi, depositi, acquisti promossa dal Museo stesso, alle donazioni ricevute. Tra gli oggetti che entrarono in collezione si segnalano i reperti rinvenuti tra 1957 e 1968 e tra 1967 e 1978 dalla Missione Archeologica Italiana (fondata anch’essa da Tucci) a Ghazni, a sud-ovest di Kabul in Afghanistan, e a Shahr-i Sokhta, importante centro urbano dell’Iran orientale posto sulle vie commerciali che tra il IV e II millennio a.C collegavano le regioni dell’Egitto e del Vicino Oriente con quelle dell’Asia centrale.
Il percorso museale offriva al visitatore un approfondimento esaustivo delle arti e culture asiatiche, non solo per l’estensione geografica e cronologica – dalla Spagna moresca al Giappone, e dall’epoca protostorica fino alla contemporaneità – ma anche per l’intento di mostrarne i diversi aspetti e sfumature – dalla cultura colta delle corti a quella popolare e quotidiana dei villaggi, comprendendo i sistemi filosofico-religiosi e tecnologici. Il Museo ha anche rivolto particolare attenzione alle attività di ricerca e formazione – svolte attraverso convenzioni ad hoc sia con istituti speciali del Ministero della Cultura, sia con Facoltà universitarie nazionali ed internazionali – nonché alla diffusione comunicazione delle collezioni sia nei confronti del contesto accademico che dei diversi pubblici, organizzando conferenze, laboratori, seminari, un’attività didattico-divulgativa articolata in percorsi e progetti educativi e dotandosi di una biblioteca specialistica (parte nel Servizio Bibliotecario Nazionale) comprendente circa 20.000 titoli in 46 lingue, e un’attenta attività didattico-divulgativa rivolta a pubblici diversi. La vocazione internazionale del Museo ha permesso di realizzare progetti in cooperazione con istituzioni culturali di tutto il mondo: dal 1983 al 2016 il Museo è stato così partner o capofila di oltre 40 progetti internazionali, tra cui missioni archeologiche e di restauro in molte aree dell’Asia.
Fin dai primi anni dopo la sua istituzione il Museo ha inoltre avuto – in quanto ‘istituto con finalità particolari’ – competenza di tutela sui beni asiatici per tutto il territorio nazionale, inclusa quella esercitata presso gli Uffici Esportazione, a cui ha fornito pareri e svolto attività finalizzate appunto alla tutela di beni archeologici e storico-artistici di origine asiatica. Ugualmente rilevante la collaborazione con i reparti speciali delle Forze dell’Ordine che ha condotto anche a azioni di restituzione ai Paesi di provenienza di beni illegalmente esportati. Il Museo ha inoltre offerto consulenza tecnico-specialistica a Enti pubblici e privati per conservazione e restauro, catalogazione e esposizione di beni archeologici, artistici e biologici, anche attraverso le attività dei propri Laboratori scientifici. In quanto punto di riferimento per lo studio dei beni asiatici in Italia, dal 1982 venne avviato il progetto Arte Orientale in Italia che ha permesso di svolgere una capillare azione statale di censimento, salvaguardia e valorizzazione.
Nel 2016 le collezioni, l’archivio fotografico e la biblioteca specialistica del Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci” sono confluiti nel Museo delle Civiltà.
La Collezione di Arti e Culture Asiatiche
Una delle prime attestazioni del termine “Asia” si trova in Erodoto, il quale lo utilizza nelle Guerre persiane per riferirsi all’Anatolia e all’Impero Persiano con l’obiettivo di distinguerli dalla Grecia e dall’Egitto. L’origine del termine, fra le numerose ipotesi avanzate, è stata ricercata anche nell’accadico asu, “sorgere”, in riferimento al sole, giungendo poi estensivamente a indicare appunto le terre poste a est, da cui il sole sorge. In seguito, il termine sarà utilizzato sempre più frequentemente, fino ad arrivare all’uso attuale per indicare l’intero continente asiatico.
In attesa del loro riallestimento complessivo al piano terra del Palazzo delle Scienze nel 2026, le Collezioni di Arti e Culture Asiatiche del Museo delle Civiltà sono riallestite nel contesto del progetto EUR_Asia.
Le collezioni asiatiche del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini”.
Le oltre 15.000 opere delle collezioni di provenienza asiatica del Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” si devono per la maggior parte ad acquisti e doni di diplomatici, viaggiatori, commercianti, studiosi e artisti presenti in Asia intorno alla fine del secolo scorso. Queste collezioni furono, nella maggior parte dei casi, raccolte quando i rapporti con i Paesi occidentali erano ancora poco intensi. Per esempio gli oggetti di interesse etnografico provenienti dalle spedizioni organizzate dalla Società Geografica Italiana, tra i quali numerosi sono stati quelli raccolti da Giacomo Bove nella Terra del Fuoco e da Romolo Gessi nelle regioni dell’Africa Orientale. La collezione di oggetti giapponesi fu ceduta al Museo nel 1888 e nel 1916, da Vincenzo Ragusa è costituita da oggetti radunati durante il suo soggiorno in Giappone tra il 1876 e il 1882, un periodo in cui da pochi anni il Giappone aveva riaperto i suoi confini all’esterno. Tra le collezioni conservate vi è quella di Giuseppe Ros, interprete consolare italiano in Cina che donò la sua collezione di 2000 oggetti connessi alla vita domestica cinese al Regio Museo nel 1924, e la Collezione Fea, costituita da oggetti di provenienza birmana e acquistata dal Regio Museo nel 1889. Oltre a quelle citate, il Regio Museo acquisì anche la raccolta di Enrico Hillyer Giglioli, all’interno della quale figurano giade, sia cinesi che giapponesi, oggetti di ambito culturale buddhista provenienti dal Tibet e la collezione di strumenti musicali donata dal Raja Sourindro Mohun Tagore a Re Vittorio Emanuele II e da questi ceduta al Regio Museo nel 1879.
Le collezioni asiatiche del Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”.
Il nucleo iniziale delle collezioni del Museo Nazionale d’Arte Orientale è formato dai reperti depositati dall’allora Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO) e da reperti provenienti dagli scavi svolti dalle missioni archeologiche italiane in Iran, Afghanistan e Pakistan. Alle collezioni personali di Giuseppe Tucci, appartiene una parte degli oggetti reperiti dallo studioso tra il 1928 e il 1954 in Nepal e Tibet.
Le raccolte furono progressivamente incrementate dall’operato dello Stato italiano, il quale portò avanti trattative presso gli Uffici Esportazioni e acquistò sul mercato antiquario numerosi reperti a partire dall’istituzione del museo nel 1957, come il prezioso rilievo di età partica raffigurante Batmalku e Hairan da Palmira (Siria): l’opera, già parte della collezione Stroganoff, venne acquistata presso l’antiquario Sangiorgi nel 1971, integrando la collezione del Vicino Oriente al grande nucleo incentrato sull’Iran si affiancarono ulteriori reperti dalla Mesopotamia, Anatolia, area Siro-libanese, Transcaucasia. Inoltre alcuni oggetti delle collezioni sono il risultato di scambi, come nei casi delle collezioni relative a Thailandia e Pakistan. Tra le donazioni vi sono quella di arte birmana di Giovanni Andreino, primo rappresentante del Governo Italiano a Mandalay dal 1871 al 1885, quella di Giacomo Mutti composta da oggetti provenienti da vari contesti del subcontinente indiano (opere in marmo, pietra o bronzo, e oggetti popolari come tessuti, miniature, maschere oracolari), quella di ceramiche coreane delle dinastie Goryeo e Joseon effettuata dalla Repubblica di Corea nel 1960, la collezione di oggetti provenienti dalla Cina donata nel 1970 da Manlio Fiacchi e Antonia Gisondi, la donazione di opere coreane contemporanee da parte degli artisti stessi e la collezione di varie tipologie ceramiche iraniche dall’Età del Ferro all’Età Imperiale donata nel 2017 da Pompeo Carotenuto. Inoltre nel 2005 Francesca Bonardi-Tucci, moglie di Giuseppe Tucci, donò, inizialmente in modo anonimo, più di 2000 oggetti, in prevalenza di area himalayana e iranica, mentre alla sua morte altri 3000 oggetti (tra i quali 1600 gioielli di varie aree culturali) furono destinati al Museo da lei nominato erede universale.
Le collezioni sono attualmente composte da circa 40.000 opere suddivisi nei seguenti temi geografico-culturali:
- Vicino e Medio Oriente: espone oggetti che testimoniano la lunga storia del Medio Oriente, con particolare riguardo all’area iranica. L’Età del Bronzo è documentata sia dai reperti di Shahr-i Sokhta (IV-II millennio a.C.), centro urbano dell’Iran sudorientale sia dalla produzione vascolare dipinta riferibile alle culture di Tepe Siyalk e di Tepe Giyan, rispettivamente nell’Iran centrale e occidentale. L’Età del Ferro (XV-VI sec. a.C.) illustra le profonde innovazioni tipologiche e formali, che caratterizzano la produzione vascolare e la metallurgia delle culture regionali iraniche, unitamente all’apporto delle culture nomadiche delle steppe eurasiatiche. L’arte imperiale di Achemenidi, Parti e Sasanidi (VI sec. a.C. – VII sec. d.C.) riflette la nuova dimensione politica internazionale dell’Iran. Ceramiche, sculture, argenti, bronzi, gioielli e vetri testimoniano, tra continuità e innovazione, la vitalità dell’arte delle steppe eurasiatiche, legami con le culture siro-mesopotamiche di età preclassica e con il mondo iranico e greco, nonché rapporti con l’Estremo Oriente e con l’Occidente romano e bizantino.
- Archeologia e Arte Islamica: spazia in un arco temporale che va dall’VIII sec. al XIX sec. e comprende opere in ceramica e metallo nonché elementi di decorazione architettonica in terracotta e marmo provenienti da un palazzo scavato da una missione dell’IsMEO a Ghazni in Afghanistan. La collezione afghana è la più ricca al mondo, dopo le collezioni di Kabul e Ghazni. Presenti anche oggetti provenienti dall’area irachena, dalla Spagna moresca, dall’India, dal Pakistan e dalla Turchia ottomana. La vasta collezione iraniana include anche un dipinto a olio e opere in papier mâché del periodo qajar.
- Antichità Sudarabiche: una delle più ricche collezioni al mondo al di fuori dello Yemen, la collezione comprende opere di varia natura databili dal VIII sec. a.C. al VII sec. d.C., e si è costituita grazie a donazioni e acquisti da parte di medici e politici italiani che soggiornavano in Yemen e in Eritrea prima e dopo la II Guerra Mondiale.
- India: comprende opere della “grande tradizione” e oggetti di ambito popolare, tra cui sculture e stele di provenienza templare, miniature, bronzi e dipinti folcloristici che approfondiscono temi e personalità divine del pantheon hindu, per un periodo che va dal IX e il XX secolo.
- Gandhara (aree dell’antico Nord-Ovest indiano): è incentrata su una selezione di rilievi in scisto con scene della vita di Buddha, figure di bodhisattva e di donatori, suddivisi per gruppi stilistici, provenienti dal sito di Butkara I, nella Valle dello Swat, scavato dalla missione archeologica italiana in Pakistan. L’arte del Gandhara è un fenomeno figurativo a contenuto buddhista, fiorito tra il I e il V secolo d. C. nei territori dell’antica India del Nord-Ovest (attuali Pakistan settentrionale ed Afghanistan meridionale), caratterizzato da influssi classici – ellenistico-romani – indiani e iranici.
- Tibet e Nepal: comprende statue in lega metallica, suppellettili e oggetti rituali. La collezione è strettamente connessa alla storia della ricerca scientifica italiana in Asia nonché alla vita e all’opera di Giuseppe Tucci, asianista riconosciuto a livello internazionale per essere il fondatore della tibetologia contemporanea. Delle collezioni fanno parte dipinti arrotolabili su stoffa, statue in lega metallica, cretulae votive, affreschi, suppellettili e oggetti rituali, oltre a gioielli e a parti di mobili. I dipinti su stoffa (thang ka) e le cretulae (sa tsha tsha) fanno di questa una tra le più importanti collezioni d’arte tibetana del mondo, sia per qualità che per varietà. L’importante donazione di Francesca Bonardi-Tucci ha permesso di includere, fra l’altro, anche opere d’arte himalayana.
- Sud-Est Asiatico: si articola in reperti di epoca khmer dalla Cambogia e dalla Thailandia, soprattutto bronzetti, sculture in arenaria e ceramiche, oggetti cultuali, busti e teste del Buddha afferenti all’arte thailandese databili tra il lX e il XVIII secolo, statue lignee dorate, testi su foglie di palma laccati, contenitori votivi di ambito buddhista, strumenti musicali e statuine di attori del Ramayana provenienti dal Myanmar, databili al XIX secolo, in epoca Konbaung (1752-1885). Ospita, infine, una preziosa raccolta di oreficeria indonesiana databile tra il IV e XV secolo, una serie di figure in terracotta a grandezza naturale e marionette del teatro delle ombre giavanesi (Wayang kulit).
- Cina: include manufatti che vanno dal Neolitico al XX secolo, tra cui bronzi, giade, dipinti e tessuti. L’esposizione è incentrata su alcune opere relative al Buddhismo, introdotto in Cina dall’India verso il I secolo attraverso la Via della Seta, tra cui 4 teste in pietra di Buddha e bodhisattva provenienti dal tempio in grotta di Tianlongshan, e una selezione di ceramiche che spazia dalle statuine funerarie della dinastia Tang (618-907) ai vasi monocromi dell’ultima dinastia imperiale dei Qing (1664-1911).
- Corea: include bronzi e ceramiche dal periodo dei Tre Regni (300-668) alla fine della dinastia Joseon (1392-1010). La piccola collezione è arricchita da alcune opere contemporanee (fine XX-inizio XXI secolo), donate dai maestri artigiani e dagli artisti che le hanno realizzate.
- Giappone: permette una panoramica che va dai manufatti archeologici agli specchi e agli oggetti liturgici in bronzo dei periodi Heian (794-1185) e Kamakura (1185-1333), ed espone un Buddha ligneo di inizio periodo Edo (1615-1868) e alcune ceramiche, 2 delle quali provenienti dalla bottega di Kitaoji Rosanjin (1883-1959), donate dall’artista all’IsMEO.
- Vietnam: costituita principalmente dal lascito testamentario di Ivanoe Tullio Dinaro (1940-1993), è composta da ceramiche invetriate prodotte tra il XII e il XVIII sec., considerate una delle manifestazioni più sofisticate dell’arte asiatica.
Dalle collezioni
Le informazioni contenute nelle didascalie derivano da una documentazione storica o da catalogazioni e inventariazioni che non riflettono necessariamente una conoscenza completa o attuale da parte del Museo delle Civiltà. La revisione progressiva del database delle collezioni è in corso e sarà costantemente aggiornata sulla base della ricerca condotta e attivando confronti e collaborazioni anche con soggetti esterni con particolare attenzione agli studi sulle provenienze.
Archivio in aggiornamento