Uno scavo alla ricerca dei Saraceni

[a cura di Paola Torre]

Nel sito di Monte d’Argento, presso Minturno nel Lazio me­ridionale, il Museo Nazionale d’Arte Orientate ha condotto in tempi recenti, in collaborazio­ne con la Soprintendenza Ar­cheologica per il Lazio, una serie di indagini archeologi­che, sotto la direzione scien­tifica della scrivente, inqua­drate in un più ampio pro­gramma di ricerca finalizzato al recupero di testimonianze arabe nella nostra penisola. Monte d’Argento in particola­re è stato scelto con l’obietti­vo di individuare l’insedia­mento saraceno del Gariglia­no (881-915), stabilitosi sulla sponda settentrionale del fiu­me, nella località indicata dalle fonti storiche come “Mons Garelianus”.

II sito (fig. 1), localizzato a circa 3 km dal fiume, si configura come una roccaforte naturale cir­condata da scogliere e da una cinta muraria ampiamente conservata, che risale all’alto Medioevo.

Le indagini, condotte in varie campagne dal 1985 al 1998, sono state integrate da una contestuale attività di studio delle stratigrafie e dalla cata­logazione dei più significativi materiali archeologici rinve­nuti. Gli scavi hanno portato alla luce un sito di grande ri­lievo nel panorama storico-ar­cheologico dell’Italia centro­meridionale, caratterizzato da un lunghissimo periodo di fre­quentazione, dall’età proto­storica al XVII secolo. Si è co­si contribuito alla ricostruzio­ne della storia di quest’area tra il Lazio e la Campania, sog­getta ad influssi provenienti anche da più lontane culture. L’importanza del sito di Mon­te d’Argento ha determinato l’avvio della pratica di espro­prio dell’area di proprietà pri­vata, esproprio già perfezionato e finalizzato an­che ad una futura fruizione dell’area.

Le indagini pur non consen­tendo fino ad oggi la localiz­zazione dell’insediamento sa­raceno, come si auspicava al­l’inizio delle campagne di scavo, hanno portato alla luce nu­merosi resti di edifici che ri­sultano appartenere al Castrum Argenti, la cui esisten­za è documentata dalle fonti, fra cui il Codex Diplomaticus Cajetanus, tra il X e la fine del XIV secolo. In realtà la docu­mentazione archeologica in nostro possesso, anche se in parte compromessa dagli eventi dell’ultima guerra, atte­sta che l’insediamento medie­vale risale almeno al IX e che l’area continuò ad essere fre­quentata fino al XVII secolo.

I resti archeologici individuati si articolano in due nuclei con­finanti tra loro (fig. 2).

L’edificio prin­cipale del primo è una chiesa con aula rettangolare absida­ta (fig. 3) e cripta sottostante (fig. 4), riparti­ta in tre navate, preceduta da un protiro.

Per tutto il periodo in cui ha avuto la funzione cul­tuale, la chiesa è stata am­piamente utilizzata anche co­me luogo di sepoltura, come attesta la presenza di nume­rosissime tombe al suo interno, soprattutto nella navata destra, e intorno ad essa, con­centrate in particolare nell’a­rea esterna al protiro.

L’edificio di culto, la cui prima fase costruttiva si inquadra nell’ambito del XII secolo, è circondato da ambienti an­nessi che appartengono per lo più ad una fase costruttiva se­condaria databile al XIII-XIV secolo, periodo di maggiore frequentazione dell’edificio.

Il secondo nucleo, situato a sud-est della chiesa, è costi­tuito da una serie di ambienti pertinenti ad un abitato. In questo settore sono presenti le strutture più antiche fin’ora attestate nel sito di Monte d’Argento riferibili all’età alto­medievale, dopo la cinta mu­raria cui si addossano. Nel corso delle campagne di sca­vo sono stati qui rinvenuti ma­teriali di IX-X secolo, quali ce­ramica acroma, dipinta a bande, vetrina pesante e sparsa, che confermano il dato docu­mentale di un’occupazione in­sediativa coeva.

Ai due nuclei appena ricorda­ti si aggiunge una torre, di cui oggi rimangono solo i resti, si­tuata a notevole distanza presso il margine sud-orienta­le della collina. La torre, sorta probabilmente sui resti delle fortificazioni altomedievali di Monte d’Argento, rappresenta una delle prime vedette rea­lizzate all’inizio del XVI seco­lo per difendere le coste del Regno di Napoli.

Appare comunque molto pro­babile che le testimonianze fi­nora individuate rappresentino solo una parte delle evidenze archeologiche originariamen­te esistenti nel sito, frequenta­to fin da età protostorica e poi romana, come documentato dai reperti portati alla luce. Nel corso delle campagne di scavo è stato raccolto un grandissimo numero di mate­riali, soprattutto ceramica. La maggior parte appartiene al­l’età medievale, ma degni di nota sono anche i marmi e le iscrizioni romane (una prelati­na), la ceramica romana, i la­terizi, i doli, le decorazioni ar­chitettoniche in terracotta. Per la fase medievale, si se­gnalano alcune classi, come la ceramica invetriata e smal­tata decorata, la ceramica dipinta a bande (fig. 5), la ceramica acroma. Particolarmente inte­ressanti risultano alcune ce­ramiche invetriate e smaltate di evidente tradizione meri­dionale, le cui decorazioni ri­sentono chiaramente degli in­flussi islamici (figg. 6-7).

Sono emersi inoltre resti archeozoologici e soprattutto una consistente quantità di reperti antropolo­gici, provenienti dalle aree se­polcrali.

Sono state rinvenute anche 90 monete che presentano una cronologia dall’età prero­mana al XIX secolo, con una varietà rilevante di tipi. Di particolare interesse sono i gi­gliati angioini d’argento (1309-1343) che facevano parte di un tesoretto, rinvenu­to nell’area sepolcrale all’e­sterno del protiro (fig. 9).

Di particolare rilievo anche una serie di frammenti di intonaci di­pinti che decoravano le pareti della struttura basilicale (fig. 10). Inoltre dai contesti sepolcrali proven­gono alcuni monili molto pre­ziosi, che autorizzano l’ipotesi di una residenza nel sito di una classe sociale elevata (figg. 11-12).

Infine reperti in metallo pro­vengono sia dal sepolcreto, sia da altri settori dello scavo, dove si è ipotizzata l’esisten­za di un’attività metallurgica in situ, data la presenza di sco­rie di lavorazione, cosi come anche per i vetri per i quali stata messa in luce una pic­cola fornace.

Attualmente è in preparazione la pubblicazione dei risultati delle indagini archeologiche e degli studi effettuati sui diver­si materiali.