Paleolitico (con un pizzico di Mesolitico)
Il Paleolitico è il periodo più lungo della “(prei-)storia” umana: inizia oltre tre milioni di anni fa, quando un essere, con caratteristiche simili alle nostre, scheggiò una pietra con lo scopo di ottenere un utensile da taglio per macellare un animale, lasciando così delle tracce di taglio sulle sue ossa.
In questo lunghissimo periodo si sono succedute, spesso convivendo, diverse forme umane: tra incontri, mescolanze, scambi e (forse) scontri, forti cambiamenti climatici e ingenti migrazioni di animali e di gruppi umani di cacciatori-raccoglitori, a partire dall’Africa alla fine gran parte della Terra è stata colonizzata. In questo periodo sono state messe le basi per tutto ciò che è avvenuto dopo: gli strumenti, il fuoco, gli accampamenti stagionali, i colori, l’arte e il ricorso ai simboli, la domesticazione, gli insediamenti stabili, la ceramica e persino il riciclo (i nostri antenati del Paleolitico inferiore riciclavano gli utensili, modificando e riaffilando strumenti in pietra molto più antichi). Secondo alcuni studiosi l’Antropocene inizia già in questo periodo, durante il quale gli esseri umani hanno iniziato a modificare intenzionalmente – ma anche in maniera potenzialmente irreversibile – l’ambiente in cui vivevano.
400.000 anni fa, racconti da un antico corso d’acqua
La “paleo-superficie”, emersa durante gli scavi a Castel di Guido (Roma) e risalente a ca. 400.000 anni fa, è stata identificata grazie all’accumulo in uno stesso luogo di strumenti litici e in osso, resti animali e pochi reperti umani, e rappresenta il risultato dell’interazione tra tanti tipi di agenti diversi (esseri umani, animali carnivori, flussi d’acqua, agenti atmosferici).
Studi geologici e sedimentologici su quella era una superficie di erosione scavata da un corso d’acqua effimero, associati all’analisi delle modificazioni presenti sulle ossa dei grandi mammiferi e dell’orientamento e disposizione sul terreno dei reperti, testimoniano non solo le interazioni avvenute tra esseri umani e animali, ma anche l’azione dell’acqua: mentre infatti alcuni gruppi di ossa di dimensioni maggiori sono rimasti nella loro posizione originaria, altre sono state trasportate via dalla corrente o al contrario “aggiunte” al campione, nei periodi in cui il flusso d’acqua era più forte. Questa azione si riflette anche sulle specie animali identificate poiché quelle più frequenti sono proprio quelle di dimensioni maggiori, l’elefante e l’uro, mentre più rari sono il cavallo e il cervo, il rinoceronte, il lupo, la lepre e il leone. L’elefante, era probabilmente sfruttato mediante sciacallaggio, utilizzando cioè carcasse di individui già morti per cause naturali, come accade anche in altri siti coevi. L’industria litica qui rinvenuta, caratterizzata da bifacciali (o amigdale) e altri strumenti su ciottolo e su schegge di piccole dimensioni, è realizzata in diversi tipi di pietra (come selce, trachite, leucitite). Particolare risulta l’abbondanza di strumenti in osso di elefante, che veniva scheggiato in maniera simile alla pietra per ottenere dei bifacciali identici a quelli litici. Il contesto che oggi ci appare come un insieme unico è in realtà un palinsesto, risultato di diversi episodi di frequentazione dell’area avvenuti in tempi lontani tra loro e che proprio l’azione dell’acqua, portando via il sedimento più fine, ha “appiattito” in un unico livello.
La storia (infinita) di Grotta Guattari
Tra le tante grotte del Circeo (Latina) quella di Guattari, scoperta nel 1939, è certamente la più conosciuta. Con una “paleosuperficie” rimasta intatta a causa di una frana che ca. 60.000 anni fa ne bloccò l’accesso, nella grotta sono stati trovati fossili neandertaliani, ossa di animali e strumenti in pietra, ed è ancora oggi oggetto di ricerche archeologiche.
Nel 1939 venne ritrovato nella Grotta Guattari un cranio di Homo neanderthalensis con il foro occipitale allargato. Lo studioso Alberto Carlo Blanc, associandolo ai crani melanesiani per i quali la pratica del consumo rituale del cervello era ben documentata, ipotizzò che si trattasse di un caso di cannibalismo rituale. Negli anni ‘80 nuove indagini, condotte non solo sul cranio ma anche sul contesto del ritrovamento, hanno permesso di formulare un’ipotesi alternativa: la presenza di numerosi resti di iena e di coproliti (feci fossilizzate) di questo carnivoro, ma anche di ossa rosicchiate di altri animali (cervo e uro), insieme alla quasi totale assenza di strumenti in pietra e resti combusti, suggeriscono che gli ultimi frequentatori della grotta fossero proprio le iene, che utilizzavano questo spazio ormai angusto e privo di luce come tana. Per questo motivo, è molto probabile che anche il cranio e la mandibola rinvenuti all’interno della grotta (una seconda mandibola fu scoperta all’esterno della cavità pochi anni dopo) siano frutto dell’accumulo prodotto da questi animali carnivori, al pari di quanto avvenuto per i resti degli altri animali. Alcuni degli strati sottostanti la “paleo-superficie”, così come i livelli archeologici all’esterno della cavità, ci raccontano che i neandertaliani, in periodi più antichi, frequentarono effettivamente questo luogo – come testimoniato dalla presenza di strumenti in pietra, focolari e tracce di macellazione, combustione e fratturazione intenzionale sulle ossa degli animali.
Elefanti antichi a Roma e dintorni
Uno degli animali simbolo del Paleolitico inferiore e medio della campagna romana è l’elefante antico o “elefante dalle zanne dritte” (Paleoloxodon antiquus), un proboscidato vissuto in Italia fra ca. 800.000 e 50.000 anni fa.
L’elefante antico, i cui resti sono stati rinvenuti in numerosi siti del Lazio, anche all’interno dell’area urbana di Roma (Saccopastore, Sedia del Diavolo, Casal de’ Pazzi, Via dei Fori Imperiali), poteva raggiungere oltre i 4 metri alla spalla di altezza ed era caratteristico delle foreste e dei climi temperati, tuttavia era in grado di sopravvivere anche durante i periodi più freschi (quando invece le condizioni glaciali diventarono più estreme fu sostituito dal mammut, Mammuthus primigenius). I dati archeologici suggeriscono che questa specie, come pure altri animali di dimensioni molto grandi, non venisse abitualmente cacciata in maniera attiva dai nostri antenati, ma fosse più spesso oggetto di sciacallaggio attraverso il recupero di carne, midollo e grasso di individui già morti per cause naturali. Questo tipo sfruttamento non indica necessariamente minori capacità nella caccia da parte delle popolazioni del Paleolitico, ma suggerisce un’attività opportunistica tuttora praticata in molte parti del mondo.
Materie prime dell’età della pietra
La pietra è un materiale che si conserva facilmente e quindi ha più probabilità di essere ritrovato negli scavi archeologici, ma durante il Paleolitico furono utilizzati molti altri tipi di materie prime per produrre strumenti e oggetti.
In natura, per altro, esistono diversi tipi di pietre con differenti forme (ciottoli, noduli, liste, ecc.), ma solo alcune sono adatte ad essere lavorate (selce, diaspro, calcare, quarzite, ecc.). Nel Paleolitico inferiore e medio ossa, denti e conchiglie venivano spesso scheggiati in maniera simile alla pietra, mentre nei periodi successivi la loro lavorazione diventò sempre più accurata e servì anche per la produzione di ornamenti e oggetti artistici, oltre che di strumenti. Sicuramente erano utilizzati anche il legno e altre materie vegetali, tuttavia, per questioni legate alla conservazione, il loro ritrovamento è molto raro nei siti paleolitici. I vari tipi di materie prime non erano sempre disponibili localmente, e grazie all’identificazione della loro provenienza geografica è possibile evidenziare interazioni e scambi tra gruppi umani distanti tra loro anche centinaia di chilometri.
Gli studi sul sito di Torre in Pietra
Il sito di Torre in Pietra (Roma), scavato a più riprese tra il 1954 e il 1977, ha restituito numerosi strumenti litici e resti animali del Paleolitico inferiore e del Paleolitico medio, e continua tuttora fornire preziose informazioni sulla vita dei nostri antenati.
Recenti datazioni degli strati archeologici hanno permesso di collocare la frequentazione umana del Paleolitico inferiore (livello M) tra 354.000 e 337.000 anni fa; le industrie litiche di questo periodo sono caratterizzate dalla presenza di bifacciali e strumenti di piccole dimensioni ricavati da ciottoli; i primi prevalentemente in calcare, mentre nel secondo caso è più abbondante la selce, evidenziando una scelta accurata della materia prima da lavorare. Nel Paleolitico medio (livello D), datato tra 270.000 e 240.000 anni fa, mancano invece i bifacciali, e nella lavorazione della pietra si può osservare la continuazione delle tecniche già documentate nel livello più antico, ma anche la presenza di nuove modalità di scheggiatura caratteristiche di questo periodo. La produzione di schegge sottili potrebbe essere un’innovazione legata alla necessità di attaccarle ad un manico, eventualmente con l’aiuto di un collante. L’utilizzo per questo scopo della pece di betulla è stato direttamente documentato in un sito della Toscana di ca. 200.000 anni fa. In entrambi i periodi, le specie animali presenti indicano un clima temperato tendente al freddo e con presenza di aree umide nelle vicinanze; tuttavia, nel periodo più recente l’ambiente era probabilmente più ricco di foreste e di acqua.
Transizione in corso: dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore
La transizione tra Paleolitico medio e superiore, avvenuta in Europa tra ca. 54.000 e 40.000 anni fa, è un momento cruciale della storia umana: riguarda infatti l’avvicendarsi di Homo neanderthalensis e Homo sapiens, due specie umane con differenze non solo a livello corporeo, ma anche culturale e cognitivo.
Con il progredire degli studi la nostra interpretazione del Neanderthal si sta però modificando, e gli vengono ora attribuiti molti comportamenti e capacità considerati fino a pochi decenni fa esclusivi dell’Homo sapiens: sappiamo ormai che questa specie comprendeva abili cacciatori, in grado di produrre strumenti e ornamenti in materia dura animale, utilizzava i colori e seppelliva i morti. I dati genetici indicano che sicuramente questa forma umana ha incontrato e si è incrociata con la nostra (H. sapiens), ma ancora non conosciamo il motivo per cui si è estinta (pur continuando a sopravvivere, grazie a questi incroci, nel nostro DNA). A Grotta del Fossellone (Monte Circeo, Latina) questo incontro non è però probabilmente avvenuto, infatti i livelli che testimoniano la frequentazione neandertaliana sono separati da uno strato sterile da quelli riferiti all’occupazione dei Sapiens. Gli ultimi neandertaliani di questo sito mostrano di saper scegliere le prede (in particolare cervo e uro) in base all’età, in modo da ottenere la migliore resa in carne, oltre a conoscere le tecniche per riciclare e immanicare gli strumenti (utilizzando grassi vegetali, resina di pino e cera d’api), e forse usare coloranti. Il passaggio all Paleolitico superiore è datato per questo sito tra ca. 41.000 e 37.000 anni fa, ed è contrassegnato da un deterioramento climatico indicato dalla prevalenza dell’idruntino, un asino selvatico adattato ad ambienti più aperti e aridi, associato anche a uccelli di clima freddo, tra cui la civetta delle nevi. Oltre ad industrie litiche caratteristiche di questo periodo il Sapiens invece iniziò a produrre in maniera più sistematica punte e strumenti ricavati dal palco dei cervidi e dall’osso. La caccia ai mammiferi appare stranamente meno selettiva rispetto al periodo precedente, anche se ciò potrebbe essere dovuto a un cambiamento di strategia legato alla diversità di prede. Le tecniche di macellazione appaiono fortemente standardizzate, e le tracce presenti sulle ossa indicano lo sfruttamento anche degli uccelli.
La dieta paleolitica
Lo studio delle tracce individuate sulle ossa animali provenienti da siti paleolitici consente non solo di formulare ipotesi sulle modalità di accumulo, ma può anche fornire informazioni sul tipo di sfruttamento alimentare delle varie specie.
Le analisi sui tagli prodotti da strumenti litici sulle varie parti del corpo degli animali, insieme alle evidenze di fratturazione intenzionale delle ossa, permettono di capire se una specie veniva cacciata solo per la pelle o pelliccia oppure anche per scopi alimentari. Le modificazioni presenti sulle ossa possono consentire anche di formulare ipotesi su come venisse preparata la carne: ad esempio, trovando segni di combustione localizzati solo sulle estremità dell’osso, possiamo immaginare che la porzione fosse stata arrostita dopo la disarticolazione (infatti, mentre la parte dell’osso coperta dalla carne rimaneva protetta, l’articolazione esposta si bruciava a causa del contatto con il calore). Il campione faunistico di Grotta Romanelli (Castro, Lecce) ha permesso di comprendere come in questo sito, tra ca. 10.000 e 14.000 anni fa, l’alimentazione umana non prevedesse solamente specie analoghe a quelle che ancora oggi consumiamo (come cervi, asini e buoi selvatici, lepri, galline prataiole), ma includesse anche volpi, ricci, gatti selvatici, tassi, lupi e linci e, tra le probabili “ricette”, le ali di oca granaiola arrosto. La varietà di specie animali, alcune anche difficili da catturare, indica come gli strumenti in pietra e osso per cacciare le prede e per macellarne le carcasse fossero diventati sempre più efficienti. I manufatti litici spesso erano di piccole dimensioni, così da rendere possibile, a partire da un singolo pezzo di pietra, la produzione di un numero relativamente alto di schegge e strumenti. I resti di piante sono invece molto più rari ma, anche grazie a particolari analisi chimiche su resti umani o allo studio del tartaro dentale, sappiamo che i vegetali erano parte integrante della dieta e che (già almeno per i Neandertal) alcuni di questi erano anche consumati dopo essere stati cotti.
Da lupo a cane: i primi animali domestici
L’allevamento dei più comuni animali domestici si è diffuso solo a partire dal Neolitico ma vi è un’importante eccezione, quella del cane, che affonda le radici nel cambiamento del rapporto tra uomo e animali già durante il Paleolitico superiore.
Il ritrovamento di canidi di taglia più piccola rispetto al lupo nei siti di Grotta Romanelli e Grotta Paglicci, entrambe in Puglia, aveva fatto sospettare gli studiosi che si potesse trattare di cani domestici, in quanto la riduzione di taglia è uno dei cambiamenti fisici determinati dalla domesticazione. Solo recentemente, attraverso analisi genetiche e indagini relative alla forma del primo molare inferiore e in particolare alle proporzioni tra i tessuti (smalto e dentina) che lo compongono, si è riusciti a ipotizzare con maggiore affidabilità che questi reperti possano appartenere ai primi cani domestici in Italia (e forse anche d’Europa) dal momento che alcuni risalgono a 20.000 anni fa.
Le “Veneri” paleolitiche
Le “Veneri” paleolitiche sono statuine prodotte in diverse materie prime (steatite, serpentino, avorio, osso) e caratterizzate da attributi femminili enfatizzati, la cui presenza è documentata in molte aree del continente euroasiatico.
Caratterizzate da piccole dimensioni, le veneri costituiscono alcune tra le prime raffigurazioni del corpo umano a noi pervenute. Due possibili rappresentazioni femminili, risalenti ad un periodo fra 500.000 e 250.000 anni fa, sono state ritrovate in Israele e in Marocco, ma la loro interpretazione è controversa, per cui la raffigurazione più antica finora accertata è quella scoperta a Hohle Fels (Germania), datata a circa 40.000-35.000 anni fa. La maggior parte di queste statuine è riferibile ad un periodo tra 27.000 e 22.000 anni fa. Sul territorio della penisola italiana sono state trovate numerose figurine femminili probabilmente risalenti al Paleolitico superiore, e persino la Venere di Willendorf, pur essendo stata ritrovata in Austria, potrebbe essere stata prodotta con materie prime provenienti dall’area del Lago di Garda. Tra le figurine italiane nella collezione del Museo figurano la Venere di Savignano (Savignano sul Panaro, Modena), la Venere del Trasimeno (Lago Trasimeno, Perugia) e la Venere de La Marmotta (Anguillara, Roma).
L’arte paleolitica: “espressione fossile” del pensiero simbolico
L’arte rappresenta una delle espressioni del pensiero simbolico, e le evidenze archeologiche ci indicano che la sua produzione non è una caratteristica esclusiva di Homo sapiens.
Le più antiche testimonianze artistiche rinvenute finora provengono dal Sud Africa e risalgono a ca. 100.000-70.000 anni fa: oltre a pietre e gusci di uovo di struzzo decorati con linee tracciate con ocra e incisioni, vi sono anche conchiglie utilizzate come contenitori per mescolare il colore. Ancora più antichi, oltre i 140.000 anni, sono i primi gioielli, rinvenuti in Nord Africa e costituiti da conchiglie forate artificialmente e/o con fori naturali che presentavano tracce di sospensione dovute all’uso ornamentale. Le testimonianze di sostanze coloranti, pitture parietali, oggetti decorati e ornamenti prodotti e usati da Homo neanderthalensis diventano sempre più frequenti in tutta Europa verso la fine del Paleolitico medio, tra ca. 50.000 e 40.000 anni fa. In alcuni siti del Nord Italia le tracce di taglio rinvenute su ossa di uccelli rapaci suggeriscono il recupero delle penne remiganti e degli artigli molto probabilmente per analoghi usi ornamentali. Tuttavia è con il Paleolitico superiore e con l’Homo sapiens che si assiste alla formazione di un pensiero simbolico complesso e alla diffusione dell’arte in tutte le sue forme e nei diversi continenti. Grotta Polesini (Tivoli, Roma), sito databile a ca. 10.000 anni fa, non è il sito più antico in cui sono state trovate evidenze artistiche, ma è uno dei più ricchi in questo senso della penisola italiana.
Mesolitico: diversificazione e specializzazione, a cavallo tra due mondi
Il Mesolitico (o Epipaleolitico) segna un momento di passaggio e di preparazione al Neolitico e in Eurasia ha una durata molto variabile a seconda degli adattamenti umani alle specifiche condizioni geografiche, climatiche e ambientali nelle diverse regioni.
L’inizio del Mesolitico fu relativamente precoce nel Vicino Oriente – ca. 20.000 anni fa, dopo l’ultimo massimo glaciale – mentre terminò intorno a 5.000 anni fa nel Nord Europa, dove l’economia produttiva venne adottata più tardi. Rispetto al periodo precedente si verificarono variazioni nella mobilità dei gruppi di cacciatori-raccoglitori, che in alcune aree tese ad aumentare, mentre in altre – ad esempio nel Vicino Oriente – si iniziò un processo di sedentarizzazione, che pose probabilmente le basi per l’avvento del Neolitico. Con il miglioramento climatico che seguì la fine delle glaciazioni e con l’inizio dell’Olocene, intorno a 11.600 anni fa, la colonizzazione di aree a quote elevate che in precedenza erano occupate dai ghiacciai, già iniziata nel Paleolitico superiore, si espanse ulteriormente. Le industrie litiche furono caratterizzate da strumenti sempre più piccoli, associati al probabile incremento e diffusione di armi più efficienti (come arco e frecce), mentre da un punto di vista economico si verificò lo sfruttamento di un ampio spettro di risorse, suggerito dall’incremento nell’utilizzazione di piccoli mammiferi, uccelli, pesci e molluschi. A Grotta dell’Uzzo (S. Vito Lo Capo, Trapani), oltre ai mammiferi più comuni come cervo uro e cinghiale, erano sfruttati anche la foca monaca, uccelli, pesci (in particolare la cernia), molluschi (come patella e cornetto comune). Particolarmente interessante è anche l’utilizzazione di cetacei (delfini, ma anche specie più grandi come la balenottera o il capodoglio), probabilmente spiaggiati in prossimità della grotta e sfruttati mediante sciacallaggio. Oltre ai siti residenziali esistevano anche siti specializzati in particolari attività – ad esempio a Riparo Blanc (Monte Circeo, Latina) è documentata prevalentemente la raccolta dei molluschi e anche la tipologia degli strumenti litici sembra indicare che questa era la principale attività praticata. I cacciatori-raccoglitori del tardo Mesolitico entrarono anche in contatto ed effettuarono scambi con le prime popolazioni di agricoltori che si stavano spostando dal Vicino Oriente verso l’Europa: granuli di amido intrappolati nel tartaro dentale di alcuni mesolitici dei Balcani documentano il consumo di cereali domestici, quasi 500 anni prima dell’arrivo effettivo del Neolitico in quest’area. Conosciamo ancora poco dell’organizzazione sociale dei gruppi di cacciatori-raccoglitori mesolitici, ma il ritrovamento in Liguria di una sepoltura di una bambina di meno di 2 mesi con un ricco corredo funerario suggerisce che, almeno in quel caso, anche le donne, fin dalla nascita, avevano un loro stato di persona.