a

Visita

Collezioni

Agenda

Contradizioni

Chi siamo

Il museo e l’EUR

Educazione e Ricerca

BPI

Sostienici

Area stampa

Home 9 Non categorizzato 9 ETÀ DEL FERRO

L’Età del ferro in Italia: la formazione delle culture regionali

 

Tra IX e VIII secolo a.C. si formarono in Italia delle culture a carattere regionale, diverse tra loro per origini, lingua, tradizioni, strutture sociali: ciò è dovuto alla centralità della penisola italiana nel Mediterraneo, posizione che l’ha sempre resa aperta alle influenze esterne. Questo periodo è chiamato Età del ferro per l’importanza che questo metallo rivestì nella vita delle popolazioni.

 

L’agricoltura che restò alla base dell’economia fino alla prima metà dell’VIII secolo a.C., era avvantaggiata nella coltivazione estensiva, soprattutto di cereali, dalla produzione di attrezzi metallici come le falci, mentre la pastorizia si basava sulla transumanza, lo spostamento stagionale di mandrie e greggi lungo i percorsi dei valichi degli Appennini; si allevavano ovini, indispensabili per la lana, ma anche bovini e cavalli (usati per i carri da corsa, da guerra e da trasporto). La produzione metallurgica era abbondante e di livello tecnico elevato e costituiva ormai la base di ogni tipo di attività: agricoltura, artigianato, produzione di armamenti, oggetti di prestigio, abbigliamento e cura del corpo. Le risorse economiche venivano gestite da una ristretta classe di imprenditori, che riceveva enormi ricchezze anche dagli scambi commerciali e dal controllo delle principali vie di transito terrestri, fluviali e marittime. Le risorse minerarie esistenti in Italia spinsero i Greci a fondarvi le prime colonie nell’VIII secolo a.C., dando avvio a quel processo che porterà alla formazione delle città e dei popoli storici del mondo italico.

 

 

L’Italia centrale: Umbri, Piceni e culture medio-adriatiche

 

L’Italia centrale, dagli Appennini alle coste dell’Adriatico, era abitata da popoli che facevano parte dello stesso gruppo linguistico, quello osco-umbro, e che adottavano il rituale funerario dell’inumazione.
Le aree montane erano occupate da villaggi che sfruttavano le aree pianeggianti e controllavano i valichi usati per la transumanza. Nell’VIII secolo a.C. si registrò in quest’area un incremento demografico: il benessere economico non era più dovuto esclusivamente all’agricoltura e alla pastorizia ma anche a un fiorente artigianato e al commercio. Gli scambi a breve e a lunga distanza, in particolare con l’Etruria, il Lazio e la Campania, erano facilitati dai percorsi lungo le valli fluviali e i valichi appenninici. Il processo di differenziazione delle classi sociali portò alla nascita di un ceto aristocratico che adottava tombe monumentali racchiuse dentro circoli di pietre e coperte da tumulo, nelle quali le sepolture femminili venivano accompagnate da numerosi oggetti di ornamento, mentre quelle maschili dalle armi di bronzo e di ferro.

 

 

L’Italia settentrionale: le culture paleo-veneta e di Golasecca

 

In Italia settentrionale, dove prevaleva il rito funerario dell’incinerazione, si distinguevano a est la cultura paleoveneta e a ovest la cultura di Golasecca.

La cultura paleo-veneta si sviluppò grazie alle fertili terre della Pianura Padana, adatte per le colture dei cereali e per l’allevamento, soprattutto di cavalli che venivano destinati all’esportazione. Caratteristica è la produzione di oggetti di bronzo decorati a incisione e a sbalzo, detta “arte delle situle” – che prende il nome dalle situle, vasi di grandi dimensioni e fittamente decorati con motivi di animali e figure umane. L’economia della cultura di Golasecca variava invece da zona a zona: mentre in pianura era praticata l’agricoltura, le colline vedevano prevalere la pastorizia. I centri più importanti si trovavano lungo i fiumi, all’incrocio di itinerari commerciali che collegavano l’Etruria all’Europa centrale. Fra le attività artigianali diffusa e di grande rilievo per l’economia locale è produzione ceramica, all’inizio limitata a poche forme, poi sviluppata con sempre maggiore varietà.

 

 

L’Italia meridionale: la “cultura delle tombe a fossa”

 

L’Italia meridionale nell’Età del ferro era caratterizzata dal rituale funerario dell’inumazione, da cui deriva la denominazione di “cultura delle tombe a fossa”. Fanno eccezione alcuni nuclei di cultura villanoviana, come Capua, Pontecagnano e Sala Consilina in Campania, dove era praticato quasi esclusivamente il rito dell’incinerazione.

 

È nelle regioni meridionali che avvenne l’incontro diretto con il mondo greco: a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C. le coste italiane furono progressivamente costellate di colonie greche. I primi insediamenti da parte dei Greci provenienti dall’isola di Eubea si concentravano nel golfo di Napoli e nello stretto di Messina; successivamente furono coinvolte altre aree della Campania e della Sicilia, oltre alle coste della Calabria, della Basilicata e della Puglia. In un primo momento le popolazioni che abitavano nelle zone interne dell’Italia meridionale ricevettero solo di riflesso le novità introdotte dai coloni greci, e non attraverso un contatto diretto.

 

 

La civiltà nuragica in Sardegna

 

La Sardegna nuragica era organizzata in tribù che abitavano in villaggi caratterizzati da un’intensa produttività, tra cui primeggia l’attività metallurgica grazie alle ingenti risorse di metallo di cui è ricca l’isola. Il commercio dei metalli inserì la Sardegna in una posizione di spicco nella densa rete di traffici che coinvolgeva tutto il Mediterraneo, e che vide instaurarsi contatti particolarmente stretti con le città dell’Etruria.
Una documentazione tipica della produzione nuragica sono i bronzetti, statuine raffiguranti capitribù, guerrieri, devoti, animali, ma anche soggetti di fantasia, ceste e carretti. Un’altra tipologia di bronzi caratteristica di questo popolo riguarda le lunghe spade votive a lama molto stretta rinvenute nei santuari e collocate verticalmente su basi di pietra. La civiltà nuragica subì una profonda trasformazione a partire dalla metà dell’VIII secolo a.C., in seguito alla colonizzazione delle coste dell’isola da parte dei Fenici.

 

 

 

La rivoluzione villanoviana: l’inizio della storia degli Etruschi

 

La cultura villanoviana, che si affermò tra IX e l’VIII secolo a.C. e che rappresenta l’esperienza più importante dell’Età del ferro in Italia, può essere considerata la fase iniziale della storia degli Etruschi. La rivoluzione villanoviana fu strettamente legata al controllo e allo sfruttamento delle risorse minerarie: l’Etruria era infatti la regione della penisola italiana più ricca di giacimenti di ferro, in particolare nell’Isola d’Elba, nelle Colline Metallifere (Siena) e nei Monti della Tolfa (Roma).

 

All’inizio dal IX secolo a.C. si registrò un forte incremento demografico e un notevole sviluppo economico, dovuti allo sfruttamento delle risorse minerarie, ma anche agricole, insieme all’incremento degli scambi commerciali a medio e lungo raggio che diedero luogo alle prime concentrazioni di ricchezza e potere, successivamente accelerati dalla colonizzazione greca in Italia meridionale e in Sicilia. Era praticato quasi esclusivamente il rituale funerario dell’incinerazione: i resti combusti del defunto erano deposti in vasi d’impasto (cioè di argilla non depurata) definiti “biconici” per la loro forma (quasi 2 tronchi di cono sovrapposti), spesso ornati da motivi geometrici incisi, coperti per lo più da ciotole – a volte da elmi, nei casi di importanti personaggi maschili. In questa prima fase i corredi presentavano ancora un carattere piuttosto sobrio: gli uomini erano accompagnati da armi e rasoi, le donne da alcuni oggetti di ornamento e dagli strumenti per la filatura.

 

 

Il territorio villanoviano

 

All’inizio del IX secolo a.C., nel territorio compreso tra i fiumi Arno e Tevere (Etruria Propria), nacquero i più antichi centri villanoviani, che controllavano i distretti minerari e i fiumi di collegamento tra la costa e le aree interne.

 

La regione più ricca e sviluppata era costituita dall’Etruria Meridionale, dove si trovavano i Monti della Tolfa, la principale regione metallifera della penisola. Nell’Etruria Settentrionale, area delle Colline Metallifere, i primi insediamenti sorsero sulla costa con lo scopo di organizzare le attività di lavorazione e commercio dei metalli. Nell’Etruria Interna, invece, i più importanti centri si svilupparono invece lungo la valle del Tevere, fiume che collega le regioni settentrionali d’Italia con quelle centro-meridionali. La cultura villanoviana non si limitava però esclusivamente al territorio dell’Etruria Propria: l’espansione villanoviana si verificò anche verso nord nella Pianura Padana, nel centro della penisola, con il nucleo isolato di Fermo (Marche), e verso sud, in Campania.

 

 

I villaggi villanoviani

 

L’Etruria Meridionale è la regione dove iniziò la rivoluzione sociale che condusse alla nascita delle future città. Questo processo era strettamente collegato al notevole sviluppo economico, che si rifletterà in società sempre più complesse e articolate.

Durante il IX secolo a.C. diversi nuclei di villaggi isolati iniziarono a fondersi in un unico grande centro abitato, in cui le capanne erano ancora disposte senza alcun ordine prestabilito, per lo più abbastanza distanti fra loro (forse per lasciare spazio ad aree riservate all’allevamento e all’agricoltura), e presentavano pianta rotonda, ovale, quadrata o rettangolare, con pareti e copertura di pali e frasche, come mostra il confronto con le urne a capanna dello stesso periodo. I modellini esposti costituiscono una documentazione fondamentale per la ricostruzione di queste abitazioni proto-storiche, in particolare per il loro alzato.

 

 

Verso una società urbana

 

Nel corso dell’VIII secolo a.C. la fondazione delle colonie greche in Italia e in Sicilia contribuì a modificare profondamente l’aspetto delle società villanoviane, che stabilirono con i primi coloni greci stretti rapporti, assordendone tecniche e modelli culturali, come l’introduzione della scrittura, la coltivazione intensiva della vite e il consumo di vino, insieme a un nuovo modo di banchettare.

 

I corredi funerari testimoniano le trasformazioni di questo periodo: venne introdotto il rito funerario dell’inumazione accanto a quello dell’incinerazione, e le tombe contenevano oggetti sempre più numerosi e preziosi, mostrando visibili segni di diseguaglianza sociale. Comparvero beni di lusso e segni di prestigio che confermano i frequenti scambi con comunità di diversa cultura; si delineò così un ceto aristocratico nel quale la donna era privilegiata tanto quanto l’uomo e riceveva pari considerazione. Anche la divisione del lavoro progredì enormemente, con attività artigianato specializzato in grado di riprodurre oggetti metallici o ceramiche di impasto fine o di argilla depurata e lavorate al tornio, a imitazione dei modelli greci ormai diffusamente importati.

 

 

 

Il Latium vetus

 

La cultura laziale, che corrisponde al popolo dei Latini, è documentata nella regione del Latium vetus (Lazio antico), che corrisponde all’area fra Roma, i Colli Albani e le vaste pianure intorno al loro territorio. Il corso del Tevere contrassegna il confine settentrionale oltre il quale risiedevano gli Etruschi, mentre a sud il territorio latino si spingeva fino alla valle dei fiumi Sacco e Liri.

 

Nella fase più antica i centri laziali erano in realtà pochi e sono noti attraverso i loro sepolcreti, pur offrendo un quadro ben caratterizzato. Si trattava di gruppi di villaggi situati a breve distanza l’uno dall’altro (forse costituiti da singoli nuclei familiari) concentrati sui Colli Albani, nella zona costiera a sud di Roma e nel territorio di Roma stessa, posti in collina o in fondovalle, in prossimità di pascoli e foreste e connessi alle vie di transumanza. Nel Lazio, nel corso del IX secolo a.C., il rito dell’incinerazione fu precocemente sostituito dall’inumazione. Oggetti tipici della cultura laziale sono le ollette a rete e i cosiddetti “vasi calefattoi” (sostegni a collo troncoconico e a base traforata, simili a fornelli), deposti nelle tombe con oggetti di piccole dimensioni (miniaturistici) come vasi e armi. I rapporti tra i centri laziali e quelli villanoviani, in particolare dell’Etruria meridionale, erano molto stretti, come testimoniato dall’utilizzo di elementi comuni quali le urne a capanna, che denotano un’ormai profonda affinità ideologica.

 

 

Scali lungo il Tevere

 

Il Tevere, il principale fiume dell’Italia centrale, ha rappresentato nell’antichità la più importante via di collegamento fra l’area centro-italica e le regioni settentrionali, fra il Mar Tirreno e l’Adriatico.

 

Lungo il corso del fiume nacquero approdi e impianti portuali, anche forniti di traghetti: il trasporto per barca era utilizzato per i generi più vari, compresi i prodotti di artigianato e di lusso, come le ceramiche e i vasi di bronzo. I centri più importanti del territorio latino che controllavano gli scali lungo il fiume sorgevano perlopiù direttamente sul Tevere, mentre nel territorio etrusco e nel vicino agro falisco-capenate erano situati sugli affluenti, a qualche chilometro di distanza. La straordinaria ricchezza che caratterizzava questi centri, in particolare dall’VIII secolo a.C., deriva dai traffici commerciali e dai dazi richiesti per il passaggio lungo il fiume.

 

 

La società del Latium vetus: verso un sistema aristocratico e urbano 

 

Nel momento più antico della cultura laziale la società era basata sui vincoli di parentela. I gruppi familiari dominanti esercitavano il controllo delle attività economiche, soprattutto dell’agricoltura e dell’allevamento, e delle vie di transito. La ceramica di questo periodo era realizzata esclusivamente a mano e con una produzione destinata unicamente all’uso domestico.

 

Nel corso del IX e VIII secolo a.C. all’interno delle comunità si organizzarono gruppi specializzati in attività produttive, artigianali e commerciali, tra i quali riveste un ruolo particolarmente importante l’artigiano metallurgo. L’approvvigionamento dei metalli era garantito dagli intensi rapporti con i centri villanoviani che controllavano il vicino distretto dei Monti della Tolfa. Dala seconda metà dell’VIII secolo a.C. emerse anche nelle comunità laziali un vero e proprio ceto aristocratico, alcuni centri persero importanza, mentre altri, come Roma, si svilupparono progressivamente verso una organizzazione di tipo propriamente urbano.

 

 

“Ripostigli” e “stipi votive” laziali

 

I “ripostigli” e le “stipi votive” sono fra le fonti archeologiche più importanti per ricostruire anche la società del Latium vetus.

 

Con “ripostiglio” si intende l’associazione di più oggetti metallici deposti intenzionalmente in un luogo nascosto, di solito fuori delle aree abitate: costituito da scorte di metallo grezzo, semilavorato e lavorato destinato alla rifusione, il “ripostiglio” documenta anche una forma di accumulo di ricchezza, accanto ad altre quali ad esempio il bestiame. Le “stipi votive” si trovano invece nei luoghi di culto: gli oggetti tipici delle stipi laziali sono offerte simboliche, come figure umane e animali, e vasi di ridottissime dimensioni (miniaturistici), il cui simbolismo può arrivare al punto che spesso i vasi sono semplici dischi di argilla con piccoli incavi creati da impressioni digitali.

 

 

L’archeologia funeraria

 

I cimiteri antichi (le necropoli) costituiscono per l’archeologia una fonte primaria di informazioni per poter ricostruire l’organizzazione sociale delle varie comunità, per le quali spesso manca il supporto di qualsiasi altra documentazione.

 

Le sepolture e i relativi corredi sono però molto condizionate a livello ideologico: il rituale funerario rispecchia infatti l’immagine che ogni comunità e ogni gruppo della stessa comunità sceglie di dare di se stesso. Le tombe ci mostrano così solo quei caratteri (vestiario, armamento, servizio da mensa) che una comunità o un suo gruppo usava per indicare lo stato sociale del defunto, mentre il collegamento con la realtà complessiva di una determinata cultura e della comunità che l’ha generata va cercato nel confronto con le altre fonti archeologiche. I resti scheletrici dei defunti rinvenuti all’interno delle tombe costituiscono inoltre un vero e proprio archivio anagrafico delle comunità che li hanno generati e forniscono un quadro sintetico sulle loro condizioni e stile di vita.

 

 

 

Le origini di Roma

 

Nella prima Età del ferro (IX secolo a.C.) i colli dove sarà fondata la città di Roma erano occupati da piccoli villaggi di capanne, con le relative necropoli a distanza ravvicinata, che vivevano di agricoltura, allevamento, caccia e pesca. Tra la fine del IX e gli inizi dell’VIII secolo a.C. il modello di insediamento cambiò, con la separazione fra la zona degli abitati (Palatino, Campidoglio, S. Omobono) e quella della necropoli (Esquilino, Quirinale, Viminale), segno di una graduale crescita demografica.

Quando Roma si affaccia alla storia, con la data convenzionale della sua fondazione nel 753 a.C., la città appare già dotata di una particolare forza espansiva: tra VIII e VII secolo a.C. essa impose infatti il proprio dominio sui numerosi centri abitati circostanti. L’espansione di Roma visse una fase di arresto tra il 615–510 a.C., quando la dominazione etrusca pose la sua superiore potenza, sociale, economica e culturale oltre che militare, a contrasto con essa. La grande fortuna di Roma era dovuta in particolare alla sua posizione geografica, che le rendeva un emporio di primaria importanza lungo il Tevere, il maggior fiume dell’Italia centrale, all’incrocio delle principali vie tra il sud e il nord, dove la valle si apre verso la costa e verso l’interno.

 

 

 

Il periodo orientalizzante e la nascita delle città

 

Tra la fine dell’VIII e durante il VII secolo a.C. si concluse in Italia centro-meridionale il processo di formazione delle società urbane, avviato nel IX secolo. Questo periodo è chiamato “orientalizzante”, perché caratterizzato dalla massiccia importazione di prodotti greci e orientali (ovvero provenienti dalla Grecia e dall’Asia Minore).

 

Gli artigiani mediorientali, attratti dalla prosperità economica dell’Italia centro-meridionale, vi si trasferirono dando vita a botteghe che producevano particolari tipologie di prodotti, importando in questo modo anche nuove idee e modelli culturali. Le ricche famiglie, con a capo i principi, conducevano uno stile di vita aristocratico vivendo in case in muratura, banchettando con piatti a base di carne e con vino, serviti con vasellame prezioso. Le loro attività produttive erano realizzate con la collaborazione di lavoratori che nel tempo acquisivano un’esperienza professionale sempre più specializzata. Possedevano inoltre armi, si ornavano con preziosi gioielli, curavano il corpo con unguenti esotici, costruivano per sé e la loro famiglia tombe monumentali (a camera, a volte ricoperte da tumuli) e conoscevano la scrittura. Tutti questi elementi contribuiscono alla definizione di una città e di una cultura urbana: una complessa stratificazione sociale, la presenza di un centro principale e centri minori sparsi nel territorio (distinzione tra città e campagna), la costruzione di edifici stabili, la divisione per quartieri con differenti destinazioni d’uso (aree pubbliche, aree di residenza e artigianali, luoghi di culto) e la scrittura, che diventerà la forma predominante di comunicazione pubblica.