Il sito neolitico La Marmotta: la scoperta e lo scavo di un villaggio sommerso
Nel 1989, sul fondale del lago di Bracciano (Anguillara Sabazia, Roma) fu scoperto un deposito archeologico neolitico caratterizzato dalla grande quantità di pali, tavolati lignei e materiali ceramici. Il sito si trovava a ca. 360 metri dalla riva e a 10 metri di profondità, sotto uno strato di limo dello spessore di 2,5 metri.
Dal 1992 nel villaggio sommerso La Marmotta sono state avviate campagne sistematiche di ricerche e scavi condotte dalla ex Soprintendenza Speciale del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini”. Il villaggio, che si estendeva probabilmente su un’area di oltre 2 ettari, era stato costruito in una zona della riva consolidata tramite l’inserimento nel terreno argilloso di centinaia di pali di quercia, alloro, ontano e frassino alti fino a 3,50 m e con un diametro tra 15 e 30 cm. Gli scavi hanno portato alla luce un abitato dalla pianta piuttosto regolare e una distribuzione delle infrastrutture lignee che presenta una organizzazione funzionale. Di particolare interesse è stata l’individuazione di spazi destinati alla riparazione e/o al rimessaggio di 5 piroghe, imbarcazioni ricavate ognuna da un unico tronco (monossile) che sembrano documentare l’utilizzo del lago e del suo emissario come vie di comunicazione. La propensione della comunità del villaggio per la navigazione può essere documentata anche dal ritrovamento, all’interno delle capanne, di vasi in ceramica a forma di imbarcazione. Uno di questi “modellini” (forse collegabili a pratiche cerimoniali o di culto) sembra inoltre attestare un tipo di imbarcazione sino a oggi mai documentato nel Mediterraneo durante il Neolitico, più complesso delle piroghe monossile.
Il villaggio e l’ambiente de La Marmotta
Il lago di Bracciano, il più grande dei laghi di origine vulcanica del Lazio settentrionale, si trova a 164 metri sul livello del mare ed è caratterizzato da un clima mite e terreni fertili con presenza di sorgenti, falde acquifere e alcuni corsi d’acqua immissari, mentre il fiume Arrone, emissario del lago, sfocia nel mare Tirreno.
Il villaggio di riva era caratterizzato da un impianto piuttosto regolare; l’alzato delle capanne, orientate nord-sud, rettangolari e suddivise internamente (con dimensioni di 6-8 x 8-10 m) era sostenuto da robusti pali infissi a fondo nel terreno; le pareti, a volte rinforzate alla base da muretti in pietra, erano realizzate con elementi lignei rivestiti da spessi strati di argilla cruda mista a paglia, mentre il pavimento era per lo più ricoperto da strati di argilla pressata. Nella zona centrale delle capanne erano situati i focolari, alcuni grandi fino a 1,5 m. Il villaggio, probabilmente abbandonato per l’esondazione delle acque del lago, esistette per ca. 450 anni (dal 5.600 al 5.159 a.C.). Le analisi al radiocarbonio sui reperti lignei, associate alle indagini dendrocronologiche sui pali di quercia delle capanne, ci permettono di affermare che si tratta del più antico villaggio di sponda del Neolitico Antico nell’Europa Occidentale, informazione che attesta l’occupazione delle rive dei laghi già nella prima metà del VI millennio a.C.
La ricerca scientifica sul sito La Marmotta: 3 approfondimenti
- Paleobotanica
Le analisi paletnobotaniche hanno fornito indicazioni dirette sulla copertura vegetale del territorio, con folte macchie arbustive ricche di frutti selvatici e di selvaggina ed aree boschive in cui crescevano la quercia, il frassino, l’ontano, il lauro, il leccio, il faggio, l’acero, il pioppo, il carpino, il nocciolo, che furono tutti utilizzati per l’approvvigionamento del legname necessario alle opere di bonifica, alla costruzione delle capanne e delle imbarcazioni e per la produzione di tutti gli altri manufatti in legno del villaggio.
- Dendrocronologia
Lo spessore annuo degli anelli di accrescimento nella sezione di un tronco d’albero è influenzato dal clima che caratterizza quell’anno, ed è omogeneo tra alberi della stessa specie e della stessa zona. Le sezioni di tronchi registrano le variazioni climatiche secondo un andamento simile nello stesso intervallo di anni. Partendo da sequenze ottenute da tronchi di alberi viventi, e correlandole tra loro a ritroso nel tempo con quelle di tronchi più antichi, si sono stabilite sequenze standard che risalgono indietro nel tempo di secoli o millenni. La datazione dell’ultimo anello di accrescimento presente su ogni campione analizzato ha permesso di individuare l’anno di abbattimento dei tronchi originali.
- Carbonio-14
Il metodo del Carbonio-14 si basa sul fatto che l’isotopo di massa 14 del carbonio, presente in ogni organismo vivente in una data percentuale, dopo la morte dell’organismo inizia, essendo radioattivo, a consumarsi progressivamente dimezzandosi nell’arco di 5.730 anni. Misurando la quantità di Carbonio-14 ancora contenuta nei resti organici del villaggio de La Marmotta si è potuta stabilire la data di morte dell’organismo vivente con un certo livello di approssimazione.
Artigianato a La Marmotta
Contadini, allevatori, cacciatori, ma anche artigiani: gli abitanti del villaggio de La Marmotta erano in grado di provvedere a tutte le necessità primarie della vita di gruppo. Venivano praticate diverse forme di artigianato, quali carpenteria, ceramica, tessitura, lavorazione della pietra, del legno, dell’osso e del corno, ed erano realizzati anche ornamenti di uso personale come pendagli in denti di cinghiale, collane composte da elementi di conchiglia, pietra e semi.
La quantità e la qualità dei manufatti litici, ceramici ma soprattutto in legno, molto ben conservati, ci mostrano sia il progresso tecnico nella costruzione delle abitazioni e delle imbarcazioni (bitte, pagaie, elementi mobili per le fiancate delle piroghe) sia la raffinata carpenteria manifatturiera di utensili legati all’attività di allevamento (mestoli, frullini per il latte) e tessitura (fusi, fuseruole, pesi da telaio) e alla pratica dell’agricoltura (falcetti, bastoni, percotitori, immanicature). Gli oggetti in legno (falcetti, tazze, piatti, cucchiai, spolette, lesine), numerosi e di varia fattura, dimostrano in particolare che gli abitanti del villaggio avevano un’ottima conoscenza delle diverse specie legnose presenti nelle aree circostanti, provenienti dalla cosiddetta “macchia ad alloro” tipica dell’area mediterranea nei periodi caldo-umidi (querce, allori, frassini ed ontani), oltre a un’eccezionale padronanza delle diverse tecniche di lavorazione del materiale ligneo.
La facies culturale de La Marmotta: ceramica e decorazione
Dai materiali rinvenuti all’interno delle capanne emerge un aspetto culturale molto articolato e inedito, caratterizzato da una molteplicità di influenze che possono essere ricondotte anche alla posizione geografica del sito, collocato in un’area intermedia tra ambiti culturali diversi. La facies (termine utilizzato per la descrizione di oggetti facenti parte di un orizzonte archeologico omogeneo) de La Marmotta si caratterizza per la presenza di ceramica decorata con impressioni cardiali e incisioni lineari, ma anche con motivi dipinti. Il suo stile si inserisce nell’ambito della Ceramica Impressa dell’area tirrenica e dell’Italia meridionale, ma anche nella più antica Ceramica Dipinta meridionale.
Le superfici dei vasi, una volta lisciate, erano ricoperte da decorazioni dipinte o realizzate mediante impressioni, solcature e incisioni. La decorazione impressa sulla parete ancora molle del vaso si ottiene con strumenti semplici, come l’uso di una valva di conchiglia (Cardium) o delle dita. Le impressioni eseguite con il Cardium producono linee dentellate, organizzate in motivi geometrici (triangoli, bande campite, zig-zag) e caratterizzano le ceramiche del Neolitico antico dell’area tirrenica. La ceramica dipinta presenta invece motivi decorativi a bande parallele, angolari o a scaletta dipinti in rosso, bianco, grigio o nero, in alcuni casi sia all’interno che all’esterno dei recipienti. Le decorazioni ad incisioni lineari sono infine riprodotte su ciotole sagomate ed interessano la parte superiore o tutta la superficie del recipiente, formando motivi angolari e a losanga. Alcuni manufatti sembrano collegati ad utilizzi particolari, come nel caso delle pipe in terracotta (decorate con motivi dipinti e impressioni cardiali spalmate ad ocra) e di alcuni manufatti decorati con motivi naturalistici realizzati ad impressioni cardiali (tra i quali un animale, probabilmente una capra selvatica). I motivi decorativi sono riconducibili in questo caso alla sfera cultuale e rappresentano in modo stilizzato il sole, un orante e spighe. È riconoscibile anche l’immagine di una farfalla, realizzata ad incisione e punteggio su una tazza, che in alcune culture neolitiche è collegata ad una divinità femminile e al mondo ultraterreno.
Industria litica e su osso a La Marmotta
Al villaggio La Marmotta è abbondante l’industria litica scheggiata, prevalentemente di selce ma anche di ossidiana, a differenza degli strumenti di pietra verde levigata, meno frequenti. La qualità della selce utilizzata varia dai semplici ciottoli di fiume raccolti localmente a materiale di ottima qualità, mentre l’ossidiana proveniva da Lipari (Isole Eolie) e da Palmarola (Isole Pontine). Troviamo nuclei, raschiatoi, grattatoi, punte, becchi geometrici e lame, alcune delle quali presentano il caratteristico lustro che individua gli elementi di falcetto collegati all’attività agricola.
La presenza dell’ossidiana documenta la complessa ed ampia rete di scambi commerciali e culturali che si stabilì già durante il Neolitico antico, secondo un itinerario che dalle Pontine arrivava alla costa Tirrenica e da qui, attraverso gli Appennini, giungeva fino all’area adriatica. Anche il commercio delle pietre verdi, utilizzate per la produzione di asce, accette, scalpelli e provenienti dalla zona ligure-piemontese, conferma questi traffici. Tra gli strumenti ritroviamo anche una produzione in osso (punteruoli, spatole, aghi) ricavati prevalentemente dalla parete centrale di ossa lunghe di ovicaprini, ma anche di capriolo e da canini di suini. Diversi caratteri di tradizione mesolitica presenti nell’industria litica del villaggio – quest’ultima di per sé comunque un caso eccezionale, in quanto raramente documentabile in un’epoca così antica – trovano confronto in analoghi complessi neolitici dell’area abruzzese più interna, a ridosso del Lazio, come nel caso degli strumenti litici rinvenuti nelle stazioni neolitiche della conca lacustre del Fucino, nei quali si possono riscontrare altri tratti comuni.
Agricoltura e raccolta a La Marmotta
Nella foresta di querce, allori e frassini, gli abitanti de La Marmotta aprivano ampie radure da destinare alle coltivazioni. Individuata un’area adatta e non troppo distante dal villaggio, tagliavano gli alberi alla base, li liberavano dai rami e li trasportavano al lago. Il legno così ottenuto era utilizzato per edificare le abitazioni del villaggio e per fabbricare le imbarcazioni, vari tipi di strumenti e di contenitori, oltre che per produrre luce e calore e per cucinare.
La radura veniva inizialmente ripulita con un incendio controllato, successivamente il suolo veniva preparato e seminato con zappe, traccia-solchi, bastoni appuntiti e, forse, veri e propri aratri. Dopo qualche anno di coltivazione i campi venivano abbandonati, si aprivano nuove radure e il ciclo ricominciava. Gli agricoltori de La Marmotta coltivavano il farro (Triticum dicoccum), l’orzo (Hordeum vulgare), il farro piccolo (Triticum monococcum), il frumento tenero e, forse, quello duro (Triticum aestivum/durum); giunte a maturazione, le spighe venivano tagliate e stivate a fascine in appositi contenitori situati all’interno del villaggio. Erano coltivati anche lenticchie (Lens culinaris), piselli (Pisum sativum), ervo (Vicia ervilia) e cicerchiella (Lathyrus cicera), lino (Linum usitatissimum, di cui venivano usate le fibre, per filare e tessere, e i semi, da mangiare e schiacciare per estrarne l’olio, e il papavero da oppio (Papaver sonniferum), di cui erano mangiati o schiacciati per l’olio i semi, e il lattice, usato probabilmente per scopi medicinali e/o allucinogeni. Nella foresta si raccoglievano i frutti stagionali quali susine (Prunus domestica), prugne selvatiche (Prunus spinosa), ciliege (Prunus avium), pere e mele selvatiche (Prunus sp., Malus sp.), fichi (Ficus carica), sambuchi (Sambucus sp.), cornioli (Cornus mas), fragole (Fragoria carica), more (Rubus fruticosus) e lamponi. Le nocciole (Corylus avellana) e le ghiande (Quercus sp.), facili da conservare, erano raccolte per le stagioni autunnale e invernale in cui le provviste vegetali potevano scarseggiare.
Allevamento, caccia e pesca a La Marmotta
I numerosi (oltre 15.000) resti faunistici rinvenuti a La Marmotta provengono soprattutto da specie domestiche, ma la presenza di ossa appartenenti a specie selvatiche testimonia che l’attività di caccia era comunque praticata, per integrare il rifornimento di carne e il reperimento di pellicce (gatto selvatico, volpe, lontra, tasso) e quello di ossa per produrre utensili (punteruoli in osso di capriolo), oltre che per procurarsi oggetti destinati all’ornamento personale (pendagli su canini di cinghiale).
Tra i mammiferi sono presenti soprattutto cinghiali e caprioli, mentre più rari sono cervi, uri, lepri, ricci, volpi, puzzole, lontre, tassi, gatti selvatici. Tra gli uccelli cacciati (tutti di ambiente acquatico) sono presenti il tuffetto, lo svasso maggiore, la folaga, il germano reale, la moretta tabaccata; sono stati inoltre rinvenuti resti di tartarughe palustri. L’attività di pesca è testimoniata da ami di osso e resti di pesci di lago (luccio, tinca e altri esemplari di pesci d’acqua dolce). L’attività di allevamento e pastorizia è documentata da specie in stato di domesticazione molto avanzato: gli ovicaprini risultano i più rappresentati, seguiti da bovini e suini. Maiali, pecore e capre erano generalmente allevati per la produzione della carne e risultano macellati in età giovanile (tra i 6 mesi e i 2 anni). I bovini, invece, erano utilizzati anche per la produzione di latte e come animali da lavoro, ed erano macellati in età più adulta (tra i 4 e gli 8 anni). Tra la fauna domestica troviamo anche il cane, rappresentato da due tipi diversi: uno, più comune, a muso corto e di taglia piccola, uno di taglia medio-grande; tracce di macellazione su alcune ossa fanno ipotizzare che esso possa essere stato usato anche a scopo alimentare. Le specie di fauna selvatica riconosciute confermano infine la presenza, intorno al villaggio, di ampie zone boschive e di tratti paludosi ricoperti da fitti canneti.
Navigazione: le piroghe de La Marmotta
Il ritrovamento di una piroga monossila (scavata in un unico tronco d’albero) in buono stato di conservazione è un evento molto raro, e la piccola flotta di 5 piroghe scoperta a La Marmotta tra il 1993 e il 2006 costituisce un evento eccezionale.
La prima piroga rinvenuta (Marmotta 1, lunga 10,43 m; larga 1,15–0,75 m) giaceva all’interno di un’area delimitata da alcuni pali infissi verticalmente nel terreno, forse protetta da una copertura crollata (travi e paletti), con la fiancata sinistra inclinata di 45° addossata a 7 pali e con la poppa poggiante su due pali piantati obliquamente nel fondale nel livello II di fondazione del villaggio. Le datazioni al radiocarbonio eseguite su imbarcazione e palo infisso davanti alla prua hanno fornito la data calibrata del 5450 a.C. La piroga fu ricavata da un unico grande tronco di quercia, svuotato dalla parte interna grazie all’ausilio del fuoco e poi, asportata la porzione carbonizzata, per mezzo di asce di pietra levigata, utilizzate anche per la lavorazione esterna delle fiancate. Sul fondo interno dello scafo furono risparmiate quattro nervature trasversali di rinforzo. All’interno dell’imbarcazione sono stati rinvenuti 3 manufatti, con fori cilindrici passanti, il cui uso rimane incerto. Anche la seconda piroga (Marmotta 2, lunga 5,41 m; larga 0,53–0,36 m), la terza (Marmotta 3, lunga 8,40 m; larga 0,65–0,40 m) – entrambe ricavate da tronchi di ontano (Alnus sp) – e la quarta (Marmotta 4, lunga 4 m; larga 0,65–0,40 m) – ricavata da un tronco di pioppo (Populus) – sono state trovate nel livello II, fissate a terra per mezzo di pali. La quinta (Marmotta 5, lunga 9,50 m; larga 0,60 m) è stata ricavata invece da un tronco di faggio (Fagus sylvatica).