Tessere è umano.
Isabella Ducrot… 

S’intesse qui per voi lettori un dramma
– Isabella Ducrot l’ha concepito –
Che ha per personaggi Trama e Ordito.
[…]
Straccio o broccato,
ogni tessuto è dunque il risultato
di questo stringersi costretti insieme
da un progetto il cui concepimento è dato
solo all’ingegno umano: un matrimonio
che mai in natura potrebbe avere luogo.
Prendete il ragno, poveraccio. Imbroglia.
Il ragno mica tesse, il ragno incolla.

(Patrizia Cavalli, dal Tessere è Umano, in Isabella Ducrot. La matassa primordiale, nottetempo, Roma, 2008) 

Riferendosi a una khatà tibetana di color indaco da lei collezionata, Isabella Ducrot osserva quanto essa rappresenti «tutto quello che di concreto e astratto andavo cercando in un tessuto» 1: l’emergere – dallo “stato di matassa” di fili multipli e ingarbugliati – dell’ineffabile ma consistente “struttura tessile” determinata dall’intreccio di quegli stessi fili, che incastonano parole, frasi, disegni. Nel frusciare fra naturale e artificiale, passato e presente, trama e ordito – essi si fanno scrittura, invocazione, preghiera. A differenza però della scrittura, o del segno pittorico sulla tela, il linguaggio del tessuto non si imprime a posteriori sulla materia ma si articola nell’atto stesso del tessere, manifestando nella materia l’ancestrale alleanza «fra testo e tessuto, fra pensiero e materia… saliva il tessuto sul telaio, saliva la preghiera verso il cielo» …  

Questa duplice mostra si incentra sul rapporto fra una selezione di opere tessili del Museo delle Civiltà – alcune delle quali raramente, o mai, esposte – e la pratica artistica di Ducrot – che nel tessuto ritrova la sua essenza umanista. L’invito a Ducrot ad esplorare con le curatrici e i curatori del museo vetrine e depositi, a farsi raccontare da loro le storie di abiti e accessori, stoffe e stracci, rappresenta, per Ducrot, la continuazione di una storia e l’approfondimento di una pratica perseguita da decenni. E, per il museo, l’occasione speculare di raccontarsi attraverso uno sguardo compartecipe, come se l’artista fosse la trama e il museo l’ordito dello stesso tessuto. Procedendo nel percorso, si articolano così spunti interconnessi: sulla struttura del tessuto definita dall’intreccio fra trama e ordito e sui suoi pattern, motivo geometrico e modulare che è al contempo materia e linguaggio; sulla distinzione fra il gesto del tessere e quello del dipingere; sul rapporto fra corpo e tessuto, fra stoffa bidimensionale e abito tridimensionale; sul ruolo del tessuto non solo come strumento quotidiano ma anche come comunicazione del sacro.  

«Ho raccolto stoffe per anni. Le trovavo nei mercati, durante i viaggi, dagli antiquari, nei grandi magazzini, sulle bancarelle dei villaggi, le battevo alle aste» ritrovandoli anche nelle mani dei pellegrini e di altri viaggiatori, «al collo dei grandi lama, infilate negli anfratti dei muri di ciottoli incisi, nei buchi degli stupa, nei recinti dei monasteri, attorcigliate attorno alle colonne dei templi, avvolte attorno al collo delle innumerevoli sculture che abitano i luoghi sacri». Come i molti esploratori e esploratrici che hanno creato le collezioni tessili del Museo delle Civiltà, anche Ducrot è stata per molti anni in viaggio, formando una collezione ripiegata accuratamente nei cassetti di un suo armadio – per la prima volta condiviso con il pubblico in questa mostra – e formulando un proprio sapere personale, che questa mostra celebra, modellandosi su di esso.   

Col tempo, l’artista ha compreso che ciò che affascina in un tessuto non è la sua decorazione appariscente e superficiale, ma la sua composizione, la relazione fra la sua storia e la sua struttura, il suo essere «manufatto complesso la cui invenzione risale a epoche mitiche della storia umana», l’essere un documento che dichiara «gusti, regole estetiche, emigrazioni di segni, testimonianze visibili e tattili di una cultura». Il tessuto è quindi un palinsesto, spesso anonimo quanto magistrale, in cui si deposita tutta la storia umana, con le sue innumerevoli storie individuali: traccia materiale di culture immateriali; agevole vettore che dalla fonte naturale perviene alla sua ri-creazione manuale; viaggiatore apparentemente muto da una cultura a un’altra; coralità di lavori famigliari e sociali (raccogliere, lavare, colorare, filare, tessere, usare e scambiare…) in cui si rinuncia all’unicità dell’opera per far prevalere l’intelligenza e la sensibilità collettiva; cerimonia di gesti semplici quanto radicali per cercare un contatto con gli altri e sperare nel contatto con il divino.   

Viaggiatrice ammaliata dalle diverse tradizioni tessili, Ducrot ha acquisito una forte familiarità con quei materiali, individuando in ognuno di loro un dettaglio, un colore, una traccia in cui riconoscere un valore simbolico. Come l’artista stessa afferma, un tessuto può essere «quasi niente, difficile da descrivere per mancanza di aggettivi, niente colori, niente decorazioni, niente ricami, solo affermazione della propria essenza, la semplicità ridotta ai minimi termini eppure grandiosa e commovente, come un inno patriottico». Anche se non sembra nulla, il tessuto carpisce qualcosa di intangibile ma fondamentale, anche se non sapremmo definirlo… lo spirito, l’aria, l’anima, o l’essere dei filosofi e dei mistici? Ducrot dice di non saperlo, ma intanto continua a collezionare tessuti e a lavorare su qualcosa che ha bisogno di ricomporre distinzioni e opposizioni per divenire… solo un tessuto. Ha preso così a scomporre anche la propria collezione, usandone pezzi per ricomporli in nuove forme e nuove opere. Col tempo, quei tessuti sono divenuti un archivio dal quale attingere e sul quale riflettere. Ducrot ha dato loro un nuovo significato, liberandoli dai propri luoghi e utilizzi originali, rielaborandoli attraverso la manipolazione dei fili e, con la sovrapposizione di tessuti e l’uso di testure, trasformandoli in medium artistici a cui imprimere un’audace e imprevista coerenza compositiva. La materia tessile è così diventato il costante punto di partenza del suo lavoro, tra ricerca cromatica e incursioni strutturali. Insieme ad un’ossessione per la bellezza, ritrovata anche negli oggetti più banali, la tessitura è diventata il centro di un’appassionata dedizione, con interpretazioni e intuizioni rivelatrici di ciò che sta al di là del mero dato materiale.   

Ecco allora che – nel radunare dalle collezioni tessili del Museo delle Civiltà opere africane, americane, asiatiche, europee e oceaniane, opere preziose e complesse o semplici e umili, opere antichissime (anche preistoriche) o moderne, integre o ridotte in brandelli dall’uso, così come affiancando le opere di altri alle proprie – Ducrot ci invita a un ulteriore viaggio nel tempo e nello spazio. La trama e l’ordito, che in questa mostra sono analizzati nella loro essenza di linguaggio materico e alfabetico, si fanno infine anche linguaggio architettonico, elevandosi nello spazio e divenendo essi stessi una colonna di tessuto – che si aggiunge al disegno ortogonale delle colonne in muratura della Sala e ne contraddice l’immobilità. Riconoscendo trame e orditi a lei familiari insieme a nuove, stupefacenti scoperte e accogliendo nella sua storia testimonianze che a loro volta rivelano, anche nei più minimi dettagli, tante altre storie, il viaggio di Ducrot diviene anche il viaggio in corso di questo museo fra le epoche e le geografie, le culture e le nature, le storie collettive e individuali. Uno sconfinato, ancestrale tessuto connettivo.  


DA UN’IDEA DI 
Isabella Ducrot
A CURA DI
Anna Mattirolo, Andrea Viliani con Vittoria Pavesi 
RP
Serena Francone 
CONSERVAZIONE E RESTAURO
Giulia Cervi, Serena Francone, Alessandra Montedoro 
PROGETTO DI ALLESTIMENTO E DIREZIONE LAVORI
Dolores Lettieri 
PROGETTO GRAFICO
Andrea Pizzalis 
ASSISTENZA AL COORDINAMENTO EDITORIALE
Caterina Venafro 
SI RINGRAZIA
Nora Iosia, Studio Isabella Ducrot
Galerie Gisela Capitain, Colonia-Berlino  


… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà
 

Attraversandone tutte le discipline, le epoche e i contesti ambientali e culturali – dall’archeologia preistorica all’etnografia moderna, dalle arti e tradizioni popolari italiane a sistemi di pensiero e simbologie, narrazioni e rituali delle culture africane, americane, asiatiche e oceaniane – quelle tessili rappresentano una delle collezioni più affascinanti e al contempo più fragili, e per questo più raramente esponibili, del Museo delle Civiltà. 

Abiti e manufatti, ma anche semplici lembi di stoffa, ci testimoniano che un tessuto è, ancor prima di un elemento funzionale o decorativo, una struttura fisica e una forma di linguaggio alle quali gli esseri umani hanno affidato il racconto molteplice – sia materiale che immateriale, sia religioso che civile, sia individuale che collettivo – delle loro culture. I manufatti tessili non ci raccontano, quindi, solo le loro storie ma anche quelle delle comunità da cui provengono, tramandando abitudini, necessità, saperi, valori e connessioni, dettate da scambi e commerci, che attraversano il tempo e lo spazio. Anche queste storie – affidate in questa doppia mostra ad alcuni esemplari fra i più preziosi e complessi, ma anche fra i più semplici e umili, di tutte le collezioni del Museo delle Civiltà – ci raccontano di come si è formata progressivamente la collezione enciclopedica di questo museo dedicato alle storie di tutti gli esseri umani: storie che ereditiamo dai tempi più antichi fino a giungere a noi, in un dialogo fra le altre culture, materie e specie viventi. Questi tessuti, a partire da quelli di provenienza extraeuropea, abbinano del resto al loro autonomo valore storico quello di documentare i rapporti istituzionali intrattenuti fra il museo e le diverse culture che ne sono l’oggetto di studio. La mostra si configura, così, come il possibile diario di un viaggio nello spazio e nel tempo del museo, entrambi intrecciati nella struttura, fra trame e orditi, delle sue collezioni tessili. 

Le opere tessili esposte rivelano la complessa storia dietro la formazione delle collezioni dell’ex Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini”, dove tra il XIX e gli inizi del XX secolo sono confluiti ulteriori manufatti attraverso doni o acquisti di diplomatici, viaggiatori o militari e, più recentemente, quelli dell’ex Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci”. Così, in dialogo tra loro per la prima volta in questa mostra, i tessuti delle Collezioni di Arti e Culture Africane, Americane, Asiatiche, Oceaniane, di Arti Tradizioni Popolari Italiane e delle Collezioni Preistoriche del Museo delle Civiltà ci invitano a intraprendere un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio dell’umanità. 

DA UN’IDEA DI   
Isabella Ducrot
A CURA DI
Francesca Manuela Anzelmo (FMA), Paolo Boccuccia (PB), Gaia Delpino (GD), Maria Luisa Giorgi (MLG), Laura Giuliano (LG), Vito Lattanzi (VL), Gabriella Manna (GM), Loretta Paderni (LP), Massimiliano Alessandro Polichetti (MAP) 
RP
Serena Francone
CONSERVAZIONE E RESTAURO
Giulia Cervi, Serena Francone, Alessandra Montedoro 
PROGETTO DI ALLESTIMENTO E DIREZIONE LAVORI
Dolores Lettieri 
PROGETTO GRAFICO
Andrea Pizzalis 
COORDINAMENTO CURATORIALE E EDITORIALE
Vittoria Pavesi 
ASSISTENZA AL COORDINAMENTO EDITORIALE
Caterina Venafro 
SI RINGRAZIA
Valeria Bellomia, Valentina Scazzola  

DIDASCALIE

Drappi di thangka tibetani
Thangka in tibetano significa “superficie piana”, nell’accezione di ritratto (zhel thang) o come rappresentazione di una divinità (thang sku o sku thang). La thangka è l’immagine devozionale del buddhismo tibetano, e viene utilizzata per la meditazione, la preghiera e il culto. In genere le thangka si presentano come dipinti eseguiti su una tela preparata su entrambi i versi, ma non sono rare quelle in cui l’immagine viene ricamata, stampata, tessuta, o fissata a patchwork. Elemento integrante di una thangka è il suo complesso apparato di superfici tessili che assume particolari significati e funzioni e che incornicia e può celare, con uno o più veli, in diversi punti l’immagine. Le cornici (thang mtha) sono molto più che semplici elementi decorativi, infatti: parte integrante dell’opera d’arte, esse assumono un profondo significato religioso e simbolico, e la loro realizzazione segue regole canoniche che riflettono la cosmologia buddhistica e la tradizione artistica tibetana. Quando non utilizzata, una thangka viene riposta o trasportata arrotolata, con l’immagine all’interno (tale aspetto funzionale ha fatto sì che thangka venga talvolta tradotto con “rotolo”). Per tali motivi la thangka non è mai tesa su un telaio, come solitamente avviene per i dipinti su tela, anche se il suo supporto è stato teso su un telaio in fase di esecuzione. I drappi esposti erano con tutta probabilità utilizzati a incorniciare una thangka. Spesso per queste funzioni si riusavano altre stoffe in dotazione al monastero e al tempio, o precedenti a realizzazione e consacrazione dell’immagine che accolgono, o successive perché sostituite a causa dell’usura. MAP 

Tılsımlı Gömlek (camicia talismanica)
Realizzata nel 1060 Egira (giugno 1650) dall’artigiano Husayn ibn Nasir al-din ibn Gabawra (Husayn, figlio di Nasir al-din, conosciuto come figlio di Gabawra), come ci informa una scritta sulla parte posteriore, questa camicia talismanica venne prelevata nel 1665 in Turchia dal condottiero Raimondo Montecuccoli (1609-80), durante una delle campagne militari della guerra dell’Impero Asburgico contro l’Impero Ottomano (1299-1922) nei Balcani. La camicia, già appartenente alle collezioni del seicentesco museo del gesuita Athanasius Kircher, è realizzata in finissimo lino bianco ed è parzialmente aperta sul davanti. La decorazione si inscrive in un preciso schema geometrico e interessa la metà superiore, le maniche e il colletto. Le iscrizioni in lingua araba – eseguite con calligrafia corsiva in rosso, oro, nero e blu, e racchiuse all’interno di compartimenti geometrici e medaglioni – compongono versetti coranici, preghiere, invocazioni, nomi di Dio e degli angeli accompagnati da quadrati magici, segni cabalistici e sequenze di lettere isolate che appartengono al repertorio magico-talismanico. Camicie di questo tipo venivano confezionate ritualmente, su ispirazione del Profeta Muhammad (Maometto), per proteggere dalla cattiva sorte il proprietario, generalmente di rango elevato, rendendolo così invulnerabile ai pericoli. Venivano indossate a contatto con la pelle o come l’indumento più esterno posto al di sotto della cotta di maglia. La camicia del Museo delle Civiltà è un esemplare unico, rispetto alle altre note, per la maggior parte conservate al Museo del Palazzo ,radi Istanbul, per il colletto decorato con 259 piccoli riquadri (al cui interno sono riportati i 99 nomi di Dio), e per il decoro concentrato nella metà superiore. LP 

Katabira giapponese
Il kimono estivo (katabira) con lunghe maniche (furisode), destinato a una donna nubile, è realizzato con tela grezza di ramiè ricamata con seta policroma e filo d’oro, e stampata con la tecnica di tintura a riserva (katazome). Essa prevedeva l’uso di matrici di carta di gelso intagliate (katagami) e pasta di riso (norioki) resistente al colore. Il motivo a forellini dai contorni scuri (suribitta) imita l’effetto della più complessa e dispendiosa tecnica di tintura a riserva realizzata mediante minuziose imbastiture (kanoko shibori), proibita per il suo costo dalle leggi emanate dagli shogun Tokugawa nel XVII secolo. Il katabira è coperto interamente dal tradizionale motivo saikan san’yū (tre amici dell’inverno), considerato di buon auspicio ed utilizzato anche in occasione degli auguri per il nuovo anno: il pino sempreverde simbolo di longevità; il flessibile bambù che resiste ai rigori invernali senza spezzarsi ed è associato alla perseveranza; il susino in fiore, primo albero a fiorire in primavera, come metafora di rinnovamento. L’associazione delle gru (tsuru) in volo, simbolo del cielo, con le tartarughe dal mantello di alghe (minogame), simbolo della terra, richiama la dimora degli Immortali (il mitico monte Horai, versione giapponese della montagna cinese della vita eterna, Penglai) e rafforza il significato augurale di lunga vita. Motivi e tecniche utilizzati fanno supporre che questo katabira appartenesse a una famiglia dell’aristocrazia militare. LP 

Handanghandang e julu indonesiani
Nonostante la conversione al cristianesimo o all’islam nel XIX secolo, i gruppi Batak che vivono nel nord di Sumatra (Indonesia), intorno al lago Toba, conservano legami con la religione tradizionale e l’adat, codice non scritto di diritti e doveri che regola tutti gli aspetti della vita e le relazioni interpersonali, in cui lo scambio rituale di tessuti assume un ruolo fondamentale in occasione dei momenti – nascita, matrimonio, morte – in cui una persona cambia il proprio stato, rafforza le alleanze, stabilisce i ruoli dei gruppi coinvolti. In occasione dei matrimoni, per esempio, il padre della sposa offriva alla madre dello sposo pregiati tessuti ulos, considerati doni femminili, ricevendo in cambio doni maschili, come pugnali o oggetti di metallo: in questo modo la dualità maschile-femminile veniva superata ricreando la totalità e l’armonia. Il tessuto in sé stesso può essere considerato un esempio di questo concetto, in cui i fili dell’ordito (femminili) si congiungono con quelli della trama (maschili), così come nella decorazione sono contenuti motivi che rappresentano entrambi i generi. Nel tessuto rituale handanghandang una parte della trama non viene completata e i fili di ordito non vengono tagliati perché, nel loro mantenere uniti l’inizio e la fine del tessuto, rappresentano la circolarità della vita e conferiscono al tessuto un potere protettivo, accogliendo i neonati o avvolgendo i malati. 

Nella vetrina adiacente, il sobrio tessuto julu, indossato da uomini e donne, è considerato un potente mezzo di comunicazione con l’aldilà perché è tinto nello stesso colore blu indaco del filo con cui, secondo una leggenda indonesiana, la prima tessitrice mitica ha riunito il mondo superiore e quello sotterraneo. Viene usato nei rituali del ciclo della vita, come nascita e morte, per avvolgere la madre e il figlio dopo il parto e per accompagnare il defunto nel suo ultimo viaggio. LP 

Stuoia congolese 
Ottenuta attraverso l’intreccio di fibre vegetali di tonalità differenti, questa stuoia fu prodotta nel XIX secolo a Waka, nell’attuale Repubblica Democratica del Congo. Nelle collezioni del Museo delle Civiltà sono conservati 138 tessuti in fibre vegetali realizzati per differenti utilizzi: provenienti dai territori oggi compresi tra la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica del Congo e l’Angola, essi comprendono dai più antichi e pregiati tessuti in rafia – fibra vegetale forte e leggera ricavata dall’omonima palma dell’Africa tropicale – risalenti al XVII secolo e giunti per lo più in Italia come doni diplomatici fra i sovrani africani e quelli europei a quelli prodotti nel XIX secolo. Un confronto tra questi manufatti rivela come, nel corso dei secoli, siano avvenuti cambiamenti negli stili e nelle tecniche tessili, cambiamenti che coincisero con la perdita progressiva di conoscenze e abilità artigianali dovuta all’interruzione della loro trasmissione da una generazione all’altra a causa della tratta atlantica che costrinse a una migrazione forzata di milioni di persone dall’Africa Centrale per lavorare, in condizione di schiavitù, nelle piantagioni degli imperi coloniali europei nelle Americhe. GD 

Shamma etiopici
Lunghi anche sei o sette metri, gli shamma (scialli) sono tessuti etiopici che vengono usati come capi d’abbigliamento sia dagli uomini, che portano queste fasce in vita o sulle spalle, sia dalle donne, che li indossano anche sopra il capo. Intessuti al telaio, solitamente sono in cotone, mentre i più pregiati sono in seta. Gli esemplari in mostra, in seta verde e in cotone con ricami rossi (indicatori di appartenenza ad un rango sociale elevato), si caratterizzano per la presenza di nappe all’estremità. I tessuti provengono dall’Etiopia settentrionale degli inizi del XX secolo e fanno parte delle collezioni che il re Vittorio Emanuele III di Savoia e la regina Elena donarono al Regio Museo Preistorico Etnografico, fondato e diretto da Luigi Pigorini, tra il 1901 e il 1919. I manufatti provenienti dall’Etiopia donati dai due reali sono 58, fra armi, gioielli, ornamenti, abiti e appunto tessuti, e molti di essi erano stati ricevuti come doni diplomatici da Menelik II, imperatore d’Etiopia. GD 

Tapa (tessuti in corteccia d’albero) dell’Oceania 
Il primo esemplare in mostra (presente negli inventari senza riferimenti alla sua provenienza) può essere attribuito – per analogia con tapa acquistate da Felice Junck all’inizio del XX secolo – alla manifattura di Uvea (Isola di Wallis). La produzione di tapa è riservata alle donne e la preparazione richiede più fasi: distaccata la parte interna della corteccia (lautulu) ed eliminate le parti rugose esterne, essa viene lasciata macerare in acqua per essere poi appiattita con mazzuoli (Ike) fino a farla diventare un foglio largo e sottile. La superficie è dipinta a mano con motivi tradizionali. In questo caso la tapa è costituita da due cortecce assemblate longitudinalmente battendo i lati lunghi e sovrapponendone i lembi e la decorazione è distribuita su due registri: a disegni geometrici e a motivi floreali e astratti. I colori sono il marrone (kesa o koka) ricavato dall’argilla e il nero (tuitui) ottenuto bruciando le noci selvatiche. A Uvea la tapa viene utilizzata in occasioni di nascite, matrimoni, funerali e cerimonie tradizionali, tagliata in pezzi di varie dimensioni e offerta in dono ai partecipanti: più è alta la posizione nella gerarchia sociale, più il pezzo sarà grande.  

Il secondo esemplare in mostra è costituito da un unico foglio di corteccia battuto in modo non uniforme, in cui zone con maggiore spessore si alternano ad altre quasi trasparenti. I motivi decorativi di tipo floreale/solare, fissati su un fondo dal colore ambrato, non seguono un particolare modello nella loro distribuzione, fatta eccezione per la compartizione dello spazio in tre ampie zone triangolari definite da un tratteggio colorato in nero (combustione vegetale) e rosso (di probabile origine minerale). VL 

Tlamachayatl mesoamericano
Il tlahmachayatl è un manufatto tessile di provenienza mesoamericana costituito da una tela base con armatura a intreccio semplice, divisa in tre fasce cucite fra di loro con lo stesso filo di lana. Il tessuto è arricchito da motivi decorativi dati da una trama supplementare policroma in seta, lana e cotone ritorto con piumino, inserita nella tela base mediante l’uso di un telaio a tensione che si fissa direttamente al corpo della tessitrice per mezzo di una cintura di cuoio (telar de cintura). Questo congegno è documentato sin dall’epoca preispanica e ancora oggi in uso presso molte comunità indigene mesoamericane. L’eccezionalità del manufatto sta proprio nell’inserzione di soffice piumino fra le fibre tessili, tecnica tradizionale di cui oggi esistono solamente altri cinque esempi al mondo. Il piumino era materiale di gran pregio e di uso comune nelle pratiche vestimentarie della nobiltà indigena preispanica, presso la quale funzionava come marcatore di status. Luigi Pigorini ottenne il tlahmachayatl nel 1886 dal Gabinetto Zoologico della Regia Università di Roma, che lo aveva avuto a sua volta in dono da Papa Pio IX. La sua più antica menzione si trova nel testamento di Carlos María Colina y Rubio, vescovo della diocesi di Tlaxcala (Puebla de Los Angeles), risalente al 1869. Qui si legge che esso venne confezionato nel 1534 per essere donato ad Acxotecatl, uno dei capi militari di Tlaxcala, fiera alleata di Hernán Cortés durante la Conquista, come premio simbolico della sua fedeltà alla corona spagnola. Il manufatto sarebbe rimasto proprietà dei discendenti della famiglia di Acxotecatl, per poi giungere in mano al vescovo che lo considerò di tale valore da farne dono a papa Pio IX. Questo resoconto, in parte forse di fantasia, suggerisce l’enorme interesse suscitato dal tessuto nei confronti dei primi europei. VB 

Garza Chancay 
La garza in mostra è tra i tessuti più fragili e affascinanti che ci siano giunti del periodo precolombiano. Il nome “garza” non si riferisce al suo aspetto velato e sottile, ma alla sua struttura, un gioco di raffinati intrecci che intercorrono nella tessitura. La base creata dall’ordito è intrecciata, a intervalli generalmente regolari, alla trama, ritornando in alcuni momenti nella posizione di partenza sul telaio. I disegni e le decorazioni avvengono direttamente nella costruzione del tessuto, alternando fili più sottili a fili più spessi. In questo caso ad emergere è il dipinto con motivi geometrici sui fili stessi, risultato di una tecnica, l’ikat, in cui il disegno viene creato precedentemente alla tessitura attraverso un processo di tintura dei fili: un’unione singolare che combina la materialità del tessuto come struttura e la decorazione visuale come sovrastruttura. Per ottenere fili così sottili il processo della tessitura necessita un’abilità manuale nel filare ma anche nella trasposizione del filato sul telaio. La maggior parte delle garze sopravvissute è realizzata in cotone, ma alcune sono in fibre animali, di solito derivanti dall’alpaca e dalla vigogna. Questa a garza è stata identificata come appartenente alla cultura Chancay, un’area a nord di Lima, sulla costa centrale del Perù. Come quasi tutti i reperti sopravvissuti del periodo precolombiano, anche questa garza faceva parte dei corredi funerari, accompagnando il defunto. FMA 

Tessitura andina 
Durante il corso dei secoli sono stati utilizzati nelle Ande differenti tipi di telaio, tecniche per filare e tessere e prodotti di origine vegetale e minerale per tingere. I tessuti dei territori andini precolombiani rappresentano una testimonianza di questa attività secolare, a metà tra quotidianità – indumenti o mezzi di scambio – e sacralità – la maggior parte dei tessuti provengono da corredi funerari. Gli abiti non presentavano disegni differenziati per classi sociali, in quanto decorazione e finezza del tessuto costituivano gli elementi di distinzione. Il capo d’abbigliamento di base delle donne era costituito da una tunica accompagnata da una cappa, mentre gli uomini portavano una tunica corta (unku) accompagnata da un tessuto che fasciava i fianchi. I materiali utilizzati per la realizzazione potevano essere di origine vegetale come il cotone, o animale, come la lana dei camelidi (alpaca o vigogna nel caso dei tessuti raffinati, lama per i tessuti più grezzi). Nonostante la molteplicità di strumenti utilizzati, il telaio a cintura – ancora oggi molto diffuso – è un elemento caratterizzante la tessitura precolombiana. Le tele sono composte da due elementi principali: l’ordito e la trama. Sui tessuti si possono ritrovare motivi geometrici o elementi iconografici connessi alla cosmologia e al rapporto con la natura. Colori ed elementi figurativi sono spesso rappresentativi di una popolazione specifica, e della propria narrazione identitaria del mondo terreno e ultraterreno. FMA/VS 

Tapa (tessuti in corteccia d’albero) dell’Ecuador
Tra i manufatti tessili delle collezioni alcuni sono tessuti/non tessuti, chiamati generalmente tapa, termine polinesiano che indica le stoffe ricavate dalla lavorazione della corteccia interna di alcune specie di alberi. L’Oceania è maggiormente conosciuta per questa antichissima tecnica manifatturiera, la cui realizzazione ricorre però anche in America del Sud – luogo d’origine delle tre tapa americane in mostra, provenienti dall’Ecuador – così come in alcune zone dell’America del Nord, Africa, Indonesia e Giappone. Documentata fin dalla Preistoria, la produzione di tapa ha permesso nel corso dei secoli di confezionare abiti, coperte, tende, maschere e oggetti rituali, ma senza ricorrere alla tessitura e all’intreccio. Durante il periodo coloniale, le stoffe di corteccia rivestirono un grande interesse per i colonizzatori europei, al punto da essere tra i primi materiali prelevati dal contesto originario per essere trasportati in Occidente. I saccheggi coloniali e le azioni dei missionari cristiani hanno determinato in molti casi la scomparsa delle antiche tradizioni e tecniche di produzione, per cui corso del tempo la produzione di tapa è quasi completamente cessata in molte aree, in cui è stata sostituita da fibre quali il cotone, mentre in alcune aree ha continuato a resistere o è stata oggetto di azioni di recupero, sia per le richieste del mercato turistico sia in risposta al bisogno di ricostituzione di elementi identitari delle culture d’origine. FMA 

Tessuto cinese jifu con decorazioni di draghi
La foggia dell'”abito auspicioso” (jifu) riprende quella della veste mancese, etnia alla quale appartenevano i sovrani della dinastia Qing. Indossato sia dall’imperatore che da nobili e funzionari imperiali, ed eventualmente dalle loro consorti, dal colore del tessuto, dagli oggetti simbolici che lo ornavano e dal numero di artigli dei draghi si poteva desumere il rango di chi lo portava. I motivi decorativi qui presenti alludono all’universo: in basso le acque dell’Oceano, da cui emergono i picchi rocciosi della Terra, e sopra il Cielo con le nubi tra cui compaiono i draghi, creature benevole simbolo del potere imperiale. 

Tessuti dalle Collezioni Preistoriche 
Molto pochi ed estremamente frammentari sono i tessuti presenti nelle Collezioni Preistoriche, a causa delle difficoltà di conservazione dei materiali organici all’interno delle stratigrafie archeologiche. I reperti in mostra provengono dagli scavi ottocenteschi condotti negli insediamenti palafitticoli del lago di Bienne in Svizzera, risalenti all’Età del Bronzo. Si tratta di lacerti di tessuto realizzati con intrecci in fibre, presumibilmente di lino, e con un probabile telaio verticale. PB 

Tessuti dalle Collezioni di Arti e Culture Africane
La maggior parte dei tessuti delle Collezioni di Arti e Culture Africane provengono dall’area del Congo e del Corno d’Africa, fra cui i tessuti in mostra realizzati in Etiopia e Congo. Le tre fasce in seta e cotone e la stuoia in rafia, risalenti alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, raccontano le relazioni che l’Italia ebbe con diverse realtà politiche africane nel periodo dell’occupazione coloniale. I quattro tessuti testimoniano, inoltre, la molteplicità di stili, materiali, tecniche manufatturiere e, quindi, l’estrema varietà creativa di un continente spesso e a lungo narrato, invece, come omogeneo. GD 

Tessuti dalle Collezioni di Arti e Culture Americane
Stoffe e tessuti delle Collezioni di Arti e Culture Americane provengono da diversi contesti dell’America settentrionale, centrale e meridionale e documentano, dall’epoca precolombiana al XX secolo, materiali, stili e tecniche elaborati nel corso dei millenni dalle culture dei popoli nativi per rispondere a esigenze sociali, economiche, spirituali. Nei tessuti appartenenti alle antiche culture delle Ande e nelle stoffe e intrecci dell’Ecuador e Gran Chaco si articolano diversi tipi di tessitura e la lavorazione della corteccia d’albero. Questi manufatti – entrati in collezione fra il XIX e i primi anni del XX secolo per donazione e acquisto di raccolte di viaggiatori o collezionisti durante il periodo coloniale, o a seguito di scambi con altri musei – erano destinati ad abbigliamento, forniture domestiche e usi cerimoniali e rituali. Incorporando conoscenze tramandate di generazione in generazione, essi sono espressione di culture tessili sofisticate in grado di soddisfare non solo i molteplici aspetti della vita quotidiana ma anche il senso estetico, attraverso un sapiente uso delle risorse vegetali e animali e l’apertura a innovazioni provenienti da tradizioni anche diverse da quella di appartenenza. FMA 

Tessuti dalle Collezioni di Arti e Culture Asiatiche
Particolarmente rappresentate in mostra sono le opere tessili dalle Collezioni di Arti e Culture Asiatiche. I manufatti himalayani esposti sono costituiti da un gruppo di drappi a tinte discrete in garza o organzino di seta, alcuni operati, utilizzati dal Laboratorio di Restauro dell’ex Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci” per il reintegro delle cornici delle thangka buddhiste, termine che in tibetano significa “superficie piana”, nell’accezione di ritratto (zhel thang) o rappresentazione di divinità (thang sku o sku thang). In mostra è presentato inoltre un tessuto cinese in raso di seta con decorazione di draghi: non tagliato, avrebbe dovuto essere usato per un sontuoso abito da cerimonia databile alla dinastia Qing (1644-1911). Nelle collezioni dell’ex Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” sono confluiti – tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, come doni o acquisti di diplomatici, militari, viaggiatori – tessuti provenienti da diverse aree del continente asiatico che raccontano con colori, materiali, tecniche ed elementi decorativi differenti le storie, le relazioni sociali e le costruzioni simboliche indossate o utilizzate nella vita quotidiana nelle varie culture di provenienza. LP  

Tessuti dalle Collezioni di Arti e Culture Oceaniane
Nelle Collezioni di Arti e Culture Oceaniane si conservano oltre 100 tapa polinesiane. Il termine, di origine figiana, designa un tipo particolare di tessuto realizzato con strisce di corteccia d’albero (tra cui il gelso da carta o Broussonetia Papyrifera) fatte macerare e battute con mazzuoli in modo da compattare insieme le fibre fino a farle diventare sottili e flessibili. Parte del corredo familiare, le tapa sono usate come coperte, sudari, pannelli divisori di ambienti, tessuti per indumenti o accessori (borse, cinture), oppure come “valuta” di prestigio spesa in occasione di nascite, matrimoni, funerali. Per le cerimonie tradizionali ne vengono prodotte di varie misure, commisurando le dimensioni alla posizione della persona nella gerarchia sociale quando offerte in dono. La decorazione, eseguita con colori naturali di origine minerale o vegetale fissati con estratti di piante locali, segue un repertorio ispirato alla memoria culturale delle singole comunità. VL  

Tessuti dalle Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari italiane
I tessuti delle Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari sono per la maggior parte relativi ai costumi raccolti tra la fine del XIX e il XX secolo per l’Esposizione Internazionale tenutasi nel 1911 nelle tre capitali post-unitarie italiane (Torino, Firenze, Roma), quale celebrazione dei primi 50 anni dall’unità d’Italia. In particolare questi tessuti – connessi alla doppia mostra romana, la Mostra Etnografica e la Mostra Regionale – sono costituiti da abiti da lavoro e, per la maggior parte, abiti festivi in lana, lino e cotone, spesso arricchiti da zagane o ricami, cuciti in casa o da sarti specializzati. Le stoffe più sobrie, come quelle in mostra, sono attinenti ad accessori di indumenti di uso quotidiano, come il tessuto con semplice motivo a quadri destinato alla foderatura interna di una raffinata cuffia proveniente dalla Val d’Aosta. GM 

COLLEZIONE ARTI E CULTURE ASIATICHE 

Arabia

Tunica in seta cruda ricamata in oro, XIX secolo / Raw silk tunic embroidered in gold, 19th century
Hegiaz, Arabia
seta / silk
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 85937  

Siria 

Camicia a righe bianche, XIX secolo / White striped shirt, 19th century
Siria / Syria
garza di seta / silk gauze
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 23767  

 Fazzoletto da testa a quadretti orlato con frange, XIX secolo / Checked headscarf trimmed with fringes, 19th century 
Siria / Syria
cotone / cotton 
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 4564 

Myanmar

Pantaloni da uomo a righe rosse e blu, XIX secolo / Men’s trousers with red and blue stripes, 19th century
Birmania / Myanmar
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 40298

Cina

in alto / above
Tessuto con decorazioni di draghi per abito da cerimonia, dinastia Qing (1644-1911) / Fabric with dragon decorations for formal dress, Qing dynasty (1644-1911) 
Cina / China 
raso di seta ricamato / embroidered silk satin
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MNAO 19509  

Indonesia

Giacca di corteccia d’albero (tapa) senza maniche (barù oholù) orlata con nastrino, XIX secolo / Sleeveless tree bark (tapa) jacket (barù oholù) trimmed with ribbon, 19th century
Indonesia 
corteccia d’albero battuta (tapa) / beaten tree bark (tapa)
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 35588

Fascia di corteccia d’albero (tapa) con motivi geometrici, XIX secolo / Tree bark band (tapa) with geometric motifs, 19th century
Indonesia
corteccia / bark 
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 75056  

Handanghandang, XIX secolo / Handanghandang, XIX century
Indonesia
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 72881  

Julu, XIX secolo / Julu, 19th century 
Indonesia
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 72879  

India

Pata con raffigurazione di Durga su tigre, metà XX secolo / Pata with depiction of Durga on tiger, mid-20th century
India 
tempera su tessuto in cotone / tempera on cotton fabric
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 20.S48 1.167 

Libano

Fazzoletto a quadri bianchi e gialli con decorazione, XIX secolo / White and yellow checkered handkerchief with decoration, 19th century
Libano / Lebanon
tela / cloth
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 4554 

Impero Ottomano:  

Camicia talismanica (tılsımlı gömlek), metà del XVII secolo / Talismanic shirt (tılsımlı gömlek), mid-17th century
Impero Ottomano / Ottoman Empire
cotone inamidato e dipinto con inchiostro / starched and ink-painted cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 30842  

Tibet

Fazzoletto per avvolgere le lettere (patro chin), XIX secolo / Handkerchief for wrapping letters (patro chin), 19th century 
Tibet 
seta dipinta / painted silk
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 31416 

Drappi di thangka, XIX-XX secolo / Thangka drapes, 19-20th century
Area hymalayana / Hymalayan area, Tibet o / or Nepal
seta da baco / silkworm
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, s. n.  

Tessuto in seta da baco (bombyx mori), XIX-XX secolo / Silk fabric from silkworm (bombyx mori), 19-20th century
Area hymalayana / Hymalayan area, Tibet o / or Nepal 
seta da baco / silkworm
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, s. n.  

Fodera in cotone di un dipinto verticale, XIX-XX secolo / Cotton lining of a vertical painting, 19-20th century
Area hymalayana / Hymalayan area, Tibet o / or Nepal
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, s. n.  

Giappone
Katabira giapponese, periodo Edo: XIX secolo / Japanese Katabira, Edo period: 19th century
Giappone / Japan 
ramiè, seta policroma, filo d’oro / ramié, polychrome silk, golden thread
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 38000  

Cappotto corto (haori), periodo Edo: XIX secolo / Short coat (haori), Edo period: 19th century 
Giappone / Japan 
garza di seta / silk gauze
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 38002  

Surcotto (jinbaori) con motivo di drago e nuvole dipinto a mano, periodo Edo/Meiji: XIX secolo / Surcoat (jinbaori) with hand-painted dragon and clouds motif, Edo/Meiji period: 19th century
Giappone / Japan 
seta dipinta e broccato di seta / painted silk and silk brocade
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 38005  

Abito (chikarkarpe) a quadretti e righe marroni e blu, seconda metà del XX secolo / Brown and blue checked and striped dress (chikarkarpe), second half of the 20th century
Giappone / Japan 
cotone ricamato / embroidered cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 143933  

Esempio di tintura su lino bianco, periodo Meiji: XIX secolo / Sample of dyeing on white linen, Meiji period: 19th century 
Giappone / Japan
lino bianco / white linen
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 142978  

Broccato di seta marrone chiaro, periodo Meiji: XIX secolo / Light brown silk brocade, Meiji period: 19th century
Giappone / Japan 
seta / silk
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 143042  

Tela di seta viola con motivo a crisantemo, periodo Meiji: XIX secolo / Purple silk with chrysthantemum motif, Meiji period: 19th century
Giappone / Japan 
garza di seta / silk gauze
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 142972  

Protezione per spalle e collo da portare sotto l’elmo, XIX secolo / Shoulder and neck protection to be worn under the helmet, 19th century
Giappone / Japan 
feltro di lana e seta / wool felt and silk
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 142736  

Panno da imballaggio per coprire gli oggetti di valore, XIX secolo / Wrapping cloth to cover on valuables, 19th century
Giappone / Japan 
raso di seta / silk satin
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 143008  

COLLEZIONE ARTI E CULTURE AMERICANE 

Vestito femminile a fasce e quadri di vari colori, cultura Lima (200-650 d.C.) / Women’s dress with bands and checks in various colors, Lima culture (200-650 AD)
Perù
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 57487 

Poncho (unku), XIX secolo / Poncho (unku), 19th century
Perù
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 57750 

Manta (llicllas) per il trasporto di oggetti, alimenti e animali di piccole dimensioni, XIX secolo / Mantle (llicllas) for transporting objects, food and small animals, 19th century
Perù
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 57761 

Garza Chancay, tardo periodo intermedio (1000-1476 d.C.) / Chancay gauze, late intermediate period (1000-1476 AD)
Chancay (presumibilmente / presumably), Perù
garza di cotone (tecnica ikat) dipinta / painted cotton gauze (ikat technique)
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, s.n.  

Tessuti in corteccia d’albero (tapa) dell’Ecuador, XIX secolo / Tree bark fabrics (tapa) from Ecuador, 19th century
Ecuador 
corteccia d’albero / tree bark
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 3314 

Camicia di corteccia d’albero ornata a strisce di color rossiccio, XIX secolo / Tree bark shirt decorated with reddish stripes, 19th century
Ecuador 
corteccia d’albero / tree bark
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 3318  

Tunica in corteccia d’albero, XIX secolo / Tree bark tunic, 19th century
Perù
corteccia d’albero / tree bark
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 25576 

Borsa di fibra vegetale intrecciata, XIX secolo / Woven vegetable fibre bag, 19th century
Paraguay
fibra vegetale / vegetable fibre
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 50092  

Tlamachayatl, XVI secolo (?) / Tlamachayatl, 16th century (?)
Tlaxcala, Messico / Mexico
tessuto di lana e cotone con trama supplementare in seta, lana e cotone ritorto con piumino / wool and cotton fabric with additional weft in silk, wool and twisted cotton with down
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 31378 

COLLEZIONI ARTI E CULTURE AFRICANE 

Scialle etiopico (shamma) in seta verde, fine XIX-inizio XX secolo / Ethiopian green silk shawl (shamma), end of 19th-beginning of 20th century
Etiopia settentrionale / Northern Ethiopia
seta, garza di cotone, pigmenti / silk, cotton gauze, pigments
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 83010  

Scialle etiopico (shamma) in seta verde, fine XIX-inizio XX secolo / Ethiopian green silk shawl (shamma), end of 19th-beginning of 20th century
Etiopia settentrionale / Northern Ethiopia
seta, garza di cotone, pigmenti / silk, cotton gauze, pigments
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 86086  

Scialle etiopico (shamma) bianco con decori rossi, fine XIX-inizio XX secolo / White Ethiopian shawl (shamma) with red decorations, end of 19th-beginning of 20th century
Etiopia settentrionale / Northern Ethiopia
seta, garza di cotone, pigmenti / silk, cotton gauze, pigments
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 83014  

Stuoia congolese, fine XIX-inizio XX secolo / Congolese matting, end of 19th-beginning of 20th century
Congo 
r
afia e pigmenti / raphia and pigments
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 173778 

COLLEZIONI ARTI E CULTURE OCEANIANE 

Tessuto in corteccia d’albero (tapa) dell’Oceania, XX secolo (?) / Tree bark fabric (tapa) from Oceania, 20th century (?)
Isola di Wallis (?) / Wallis Island (?)
corteccia di legno battuta e pigmenti naturali / beaten wood bark and natural pigments
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 989,03  

Tessuto in corteccia d’albero (tapa) dell’Oceania, XIX secolo (?) / Tree bark fabric (tapa) from Oceania, 19th century (?)
Isole Fiji / Fiji Islands
corteccia di legno battuta e pigmenti naturali / beaten wood bark and natural pigments
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 2503/G 

 COLLEZIONI ARTI E TRADIZIONI POPOLARI  

 Fazzoletto a riquadri colorati, fine XIX-inizio XX secolo / Checked colored hankerchief, end of 19th-beginning of 20th century
Piemonte, Italia / Piedmont, Italy
tela / cloth 
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP n. 17224

Grembiule a quadretti bianchi e blu decorato a mano, fine XIX-inizio XX secolo / Hand-decorated white and blue checked apron, end of 19th-beginning of 20th century
Piemonte, Italia / Piedmont, Italy
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP n. 16444 

Cuffia ornata di nastro bianco, fine XIX-inizio XX secolo / Bonnet with white ribbon, end of 19th-beginning of 20th century
Valle d’Aosta, Italia / Aosta Valley, Italy
seta e cotone / silk and cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP n. 17031 

Fazzoletto a quadretti bianchi e rossi, fine XIX-inizio XX secolo / Red and white checked handkerchief, end of 19th-beginning of 20th century
Emilia-Romagna, Italia / Italy 
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP n. 15499/15498 

Camicia a quadretti bianchi e blu, fine XIX-inizio XX secolo / Blue and white checked shirt, end of 19th-beginning of 20th century
Campania, Italia / Italy
cotone / cotton
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP n. 15556-b 

 Nastro su cappello di paglia, fine XIX-inizio XX secolo / Ribbon on straw hat, end of 19th-beginning of 20th century
Toscana, Italia / Tuscany, Italy
cotone e fibre vegetali / cotton and vegetable fibres
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP n. 19646 

Fazzoletto, fine XIX-inizio XX secolo / Handkerchief, end of 19th-beginning of 20th century
Lazio, Italia / Latium, Italy
cotone / cotton 
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP n. 15501/15502 

COLLEZIONI PREISTORICHE 

 Lacerto di tessuto realizzato con intrecci in fibre, età del bronzo / Shred of fabric made of interwoven fibres, Bronze Age
Lago di Bienne, Svizzera / Lake Biel, Switzerland
lino (presumibilmente) / linen (presumably) 
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MPE n. 16934 

 Lacerto di tessuto realizzato con intrecci in fibre, età del bronzo / Shred of fabric made of interwoven fibres, Bronze Age
Lago di Bienne, Svizzera / Lake Biel, Switzerland
lino (presumibilmente) / linen (presumably) 
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MPE n. 16935 

DIDASCALIE OPERE E COLLEZIONE ISABELLA DUCROT  

COLLEZIONE ISABELLA DUCROT 

Grande preghiera blu, XVII secolo / Big blue prayer, 17th century 
Tibet
seta, satin di ordito e decoro a damasco / silk, warp satin and damask decoration
courtesy l’artista / the artist 

Armadio contenente stoffe della collezione di Isabella Ducrot / Wardrobe containing fabrics from Isabella Ducrot’s collection
armadio, stoffe / wardrobe, fabrics
courtesy l’artista / the artist 

OPERE ISABELLA DUCROT  

Isabella Ducrot 
Ripetizione ODDIO, 2019
pigmenti e china su canapa / pigments and ink on hemp
courtesy l’artista / the artist 

Isabella Ducrot 
Ripetizione Blue, 2023
pigmenti su tessuto / pigments on fabric
courtesy l’artista / the artist 

sullo Scalone Monumentale / on the Monumental Staircase
Isabella Ducrot 
Abito Blu, 2017
tessuto e pigmenti su carta intelata / fabric and pigments on canvas paper
courtesy l’artista / the artist 

a destra / on the right
Isabella Ducrot 
Arazzo Preghiera, 1999
seta, carta e stampe di preghiere / silk, paper and prayer prints
courtesy l’artista / the artist 

Isabella Ducrot 
Abito Vegetale, 2020
carta, pigmenti, corteccia su carta intelata / paper, pigments, bark on canvas paper
courtesy l’artista / the artist 

Isabella Ducrot 
Frammento Vegetale, 2023
carta, pigmenti, corteccia su carta / paper, pigments, bark on paper
courtesy l’artista / the artist 

Isabella Ducrot 
Abito con cornice gialla, 2023
tessuti e pigmenti su tessuto / fabrics and pigments on fabric
courtesy l’artista / the artist 

Isabella Ducrot 
Arazzo Rilke, 2020 
inchiostro di china e pigmenti su tessuto / ink and pigments on fabric
courtesy l’artista / the artist 

Isabella Ducrot 
Arazzo Vaticano, 2016
tela antica e pigmenti su carta / ancient canvas and pigments on paper
courtesy l’artista / the artist 

Isabella Ducrot 
Bende Sacre 7, 2011
tecnica mista su tessili tibetani / mixed technique on Tibetan textiles
collezione privata, Roma / private collection, Rome  

agli angoli del perimetro centrale / at the corners of the central perimeter: 
Isabella Ducrot 
Bende Sacre, 2012-2018
12 tessuti tibetani su carta / 12 Tibetan fabrics on paper
courtesy Galerie Gisela Capitain, Colonia / Cologne   

APPARATI METODOLOGICI (collezioni museali) 

Quaderni con stampe di Hokusai, inizi XX secolo / Notebooks with Hokusai prints, beginning of the 20th century
Giappone / Japan 
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, s.n. 

Raccoglitore per campioni di tessuti e ricami, 1911 / Collector for samples of fabrics and embroidery, 1911
varie regioni d’Italia / various regions of Italy
collezione / collection Museo delle Civiltà, Roma, ex inv. MATP, s.n.