Giubilei 2000-2025: dall’Archivio Sabina Cuneo a oggi

Le ragioni di una mostra

1. Il filo rosso del discorso di Sabina Cuneo

«Da tempo desideravo fotografare Roma, la mia città. Ho tentato più volte nel corso degli anni di scattare delle immagini, cercando ogni volta un tema che potesse costituire il pretesto di un racconto […]. Infine, due anni fa, quando Roma è diventata il cantiere per le opere del Giubileo, ho trovato d’un tratto il filo del discorso».

Così la fotografa Sabina Cuneo raccontava alla studiosa di fotografia Ennery Taramelli la genesi della mostra Roma 1999, aperta dal 9 luglio al 19 settembre 2000 al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Prima personale in un’istituzione pubblica, riuniva 50 scatti fotografici a colori realizzati nell’arco di due anni in diversi quartieri di Roma, che Cuneo percorreva in bicicletta – “il mezzo attraverso cui guardo, esploro e mi avventuro per Roma”, come lei stessi affermava.

Il racconto scaturisce dai cantieri che fasciano la città prima dell’appuntamento giubilare, annunciati da staccionate di assi di legno dipinte di un rosso particolare, che costituisce il filo della narrazione: una banda colorata che nasconde strade, piazze, siti archeologici, musei, porte, ponti, statue e parchi, creando una sottolineatura cromatica, la vera protagonista delle immagini. Una sorta di ferita aperta, che sembra annunciare una rinascita della città, colta da Cuneo attraverso la sua anima millenaria, nella sua essenza minerale. Poche e casuali le presenze umane, molti i segni commerciali, ma spesso ridotti a fantasmi e lacerti non sempre leggibili. Da Trastevere al Quirinale, da Porta San Paolo a Castel Sant’Angelo, dal Pincio al Colle Oppio, l’attenzione di Cuneo si concentra sui luoghi iconici della città, cogliendone aspetti e dettagli che, chiusi dal vortice dei lavori in corso, acquistano forme e significati nuovi e a tratti sorprendenti.

Ecco una coppia di sposi appena uscita dalla chiesa di San Giorgio in Velabro, che si fa strada attraverso ostacoli di ogni genere; l’ombra di un ciclista che attraversa una piazza trasformata in quello che sembra il recinto di un ranch di cowboys; un ragazzo che si bagna la testa in una fontana circondata da palizzate. Sono le uniche presenze di vita in scenari assolati, maestosi e inquietanti nella loro dimensione monumentale, dove l’immobilità delle pietre viene attraversata da un flusso di barriere e confini che ne perturbano le forme e gli accessi. Una sorta di sipario che ricorda i rossi dei mantelli dei santi nelle tele di Caravaggio o in alcuni Sacchi di Alberto Burri, quasi ad evidenziare la cultura storico-artistica di Sabina Cuneo.

2. Lo sguardo antropologico ed etnografico di Sabina Cuneo

Figlia di diplomatici, Sabina Cuneo mostra fin da giovane una vocazione nomadica e cosmopolita, che la spinge ad iscriversi alla facoltà di lettere con indirizzo Storia dell’Arte all’Università La Sapienza negli anni Settanta. Per la sua tesi, dedicata alla scultura funeraria del XIX secolo nei grandi cimiteri monumentali italiani, Cuneo utilizza per la prima volta la macchina fotografica, con pellicole in bianco e nero, come strumento di documentazione.

Abbandonata la ricerca effettuata per la tesi, all’inizio degli anni Ottanta scatta una serie di immagini astratte, esposte in alcune gallerie private della capitale nel decennio successivo, ispirate dai suoi interessi per la ricerca informale di Alberto Burri e per alcuni pittori caravaggeschi del XVII secolo. «Ci spostavamo per tutta l’Italia per visitare mostre, e l’occhio di Sabina si focalizzava su dettagli cromatici in maniera ossessiva» racconta Rossella Caruso, storica dell’arte contemporanea vicina a Cuneo in quegli anni. «Fotografava in bianco e nero, stampava le immagini in casa per controllare ogni fase dello sviluppo, e si dedicava a soggetti materici come i selciati stradali». A cominciare dai primi anni Novanta si avvicina alla fotografia antropologica ed etnografica, ispirata dalle lezioni di Diego Carpitella e Luigi Lombardi Satriani, per documentare feste e riti religiosi nel Sud Italia con il suo compagno Carmine Puzo.

Proprio a questa parte del suo lavoro è dedicata un’apposita sezione della mostra. Le fotografie esposte sono il frutto di uno sguardo d’artista, pronto a cogliere nel dettaglio un’interpretazione dell’insieme: una città al centro di un processo rigenerativo, quasi una sorta di trasfusione di un sangue nuovo. L’idea di riproporre la mostra Roma 1999 25 anni dopo, all’alba di un altro Giubileo, propone al visitatore una riflessione sulla capacità di Roma di accogliere le sfide del cambiamento, così pressanti nel tempo in cui viviamo oggi.

3. L’Estate Romana di Matteo Garrone

Nell’anno 2000 il giovane regista Matteo Garrone gira il suo terzo film, Estate Romana, dedicato a suo padre, il critico teatrale Nico Garrone (1940-2009) ed esperto di teatro sperimentale e d’avanguardia. La pellicola è un viaggio compiuto da tre personaggi (gli attori Rossella Or, Monica Nappo, Salvatore Sansone) in diversi quartieri di una Roma stravolta dai cantieri del Giubileo, simile a quella ritratta da Cuneo, tra locali underground, allestimenti teatrali, strade e piazze infuocate dal caldo estivo. Dandogli la parola come se fosse il primo visitatore di questa mostra, nell’intervista inedita realizzata in occasione della mostra Garrone racconta la genesi del suo film e il suo rapporto con la Città Eterna, dove ancora oggi vive e lavora. LP