bruna esposito

giganti miniature

ipotesi circa il museo e note sul carnevale

La mostra – a cura di Matteo Lucchetti e Andrea Viliani con il contributo scientifico di Funzionarie e Funzionari del Museo delle Civiltà – è costruita intorno a 16 proposte e progetti che l’artista Bruna Esposito (Roma, 1960. Vive e lavora a Roma) ha concepito nel corso dei suoi due anni di ricerca come Research Fellow presso il MUCIV-Museo delle Civiltà di Roma.

Accostandosi al lavoro quotidiano di conservazione, studio e racconto propri dell’istituzione museale, l’artista ha concepito e condiviso le sue proposte – nei loro supporti su carta, mosaico, o nella loro entità memoriale di didascalie audio-video – come possibili connessioni, pensieri, ipotesi sul Museo e le sue collezioni, senza per questo svilupparle in opere vere e proprie, finite e autonome, ma affidandole alla ulteriore riflessione del Museo e dei suoi pubblici.

Esposito ha scelto di inaugurare la presentazione di questo lungo e articolato progetto di ricerca a ridosso del Carnevale, intuendo come questa festività condivida la stessa visione che l’ha portata a ipotizzare i suoi progetti, risultato di un sovvertimento delle regole che organizzano tradizionalmente i percorsi espositivi o i metodi di lavoro del museo così come il carnevale (dalla locuzione carne levare, togliere la carne, come periodo che precede all’inizio della quaresima pasquale, o da carrus navalis, il “carro navale” dei cortei quattrocenteschi, o da cornobal, la cosiddetta “danza dei cornuti”) richiama una sospensione della norma e delle gerarchie sociali convenzionali. Il carnevale (i cui antecedenti nell’area mediterranea sono da considerarsi le Anthesterie dionisiache greche e i Saturnalia/Lupercalia romani) è infatti l’insieme degli antichi riti tradizionali della fine della stagione invernale che, attraverso l’uso di mascheramenti, travestimenti e inversione dei ruoli (uomo/donna, essere umano/animale), permettevano per un periodo limitato dell’anno alle comunità l’adozione e condivisione di comportamenti collettivi liberatorii, reintegrando l’ordine usuale al termine del carnevale stesso: un precario ma vero e proprio “mondo alla rovescia”.

Inoltre, a partire dal titolo della mostra – in cui si evidenzia la coppia ossimorica giganti miniature, scritti entrambi minuscoli ma con il carattere tipografico più grande del resto del titolo –,  l’artista ci invita riflettere al contempo sulla monumentalità degli edifici che ospitano il MUCIV-Museo delle Civiltà, giganti architettonici realizzati per la mai inaugurata Esposizione Universale di Roma (EUR) del 1942, e sul fatto che essi siano divenuti custodi e interpreti di oggetti infinitesimamente piccoli, quasi miniature dall’inestimabile valore storico e culturale appartenenti a ogni epoca e provenienti da tutto il mondo. Esposito ci introduce così a un’esperienza del museo come costruttore di significati molteplici e trasformativi, come metamorfosi, e persino contraddizione, storica e intellettuale. Questo paradosso dimensionale ed epistemico diviene lo sfondo e l’ottica con i quali interpretare le sue 16 proposte, opere mai (o non ancora) divenute tali, che ruotano intorno alle potenzialità quanto alle controversie di un museo etnografico-antropologico contemporaneo, con una scala che oscilla tra il macroscopico e il microscopico, il visibile e l’invisibile, il noto e l’ignoto, il rivelato e il nascosto, l’affermato e l’omesso.

Anche l’allestimento è quindi incentrato su una doppia, e contrastante, figura geometrica. La prima è quella del quadrato, che richiama la locuzione “fare quadrato”, ovvero il gesto di unirsi per proteggere collettivamente qualcuno o qualcosa, e si articola in quattro vetrine museali storiche poste al centro della sala, in cui sono custoditi alcuni dei reperti e manufatti più piccoli e fragili delle collezioni, mentre sui lati della sala quattro gruppi di teche di nuova produzione raccolgono note di lavoro, bozzetti, prove, simulazioni delle idee che l’artista ha proposto, corretto, eliminato, editato, riproposto nel corso della sua ricerca. La seconda figura è quella del cerchio, attivato dal movimento di un ventilatore che pende dal soffitto, al centro della sala, a cui sono attaccate alcune strisce di plastica colorata.

Ognuna delle 16 proposte presentate e condivise in mostra provoca un analogo piccolo scarto, o ribaltamento, di prospettiva sul ruolo del museo nelle sue funzioni di storicizzazione e narrazione degli oggetti che custodisce. Uno dei temi più affascinanti della ricerca condotta dall’artista è infatti quello dell’incertezza, simboleggiata dal segno della tilde (~), che in linguaggio matematico significa ‘circa’, ovvero indica un’equivalenza o un’approssimazione, e che spesso compare con questa funzione per indicare una data incerta o un periodo ampio nella datazione degli oggetti. Questa incertezza ha suggerito all’artista la possibilità di accostare al centro della sala, disposti nelle quattro vetrine recuperate dai depositi, oggetti provenienti da dipartimenti e collezioni del MUCIV-Museo delle Civiltà – Preistoria e Arti e Tradizioni Popolari – che non vengono in genere accostati o non interagiscono fra loro: mantenendo come criterio di selezione e equiparazione sia la loro piccola dimensione sia l’incertezza della loro datazione esatta, i riferimenti incrociati che scaturiscono da queste giustapposizioni temporanee contribuiscono a una loro ulteriore, provvisoria reinterpretazione, quasi a mettere una tilde di fronte all’oggettività stessa del sapere museale. L’incastonatura del ventilatore a pale tra le vetrine sottolinea la circolarità che assume il tempo in questi nuovi accostamenti diacronici, oltre ad essere un richiamo alla tensione continua tra le parti di un discorso in divenire, e alle diverse consapevolezze e relazioni che esso può generare – ma evoca anche, ed è stata questa situazione ad ispirare l’artista, la necessità di scacciare le mosche dal pesce in un mercato popolare.

Tra le varie ipotesi presentate, potenzialmente tutte realizzabili seppure consapevolmente non realizzate, una è stata già adottata dal MUCIV-Museo delle Civiltà, ed è quella relativa alla proposta di donazione alle Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari di un carro allegorico del Carnevale di Viareggio, una delle tradizioni immateriali e manifestazioni di arte popolare italiana più famose e conosciute “da grandi e piccini”. Esposito ha infatti proposto che il Museo acquisisse una figura in cartapesta di circa dodici metri di altezza, intitolata Pace armata, realizzata nel 2023 del maestro carrista Alessandro Avanzini, in occasione della 150ª edizione dello storico carnevale, raffigurante un adolescente con elmetto-maschera antigas, stivali e mantello, dipinto esternamente con dei toni cupi e tetri, ed internamente con i colori dell’arcobaleno, e quindi i motivi della bandiera della pace. Tra le numerose varianti delle tradizioni carnevalesche italiane, sia antiche che moderne, i grandi carri allegorici sono il simbolo principale della tradizione del Carnevale di Viareggio – avviata nel 1873 con parata di calessi (poi divenuti veri e propri carri) – in cui ogni anno una serie di artigiani specializzati si cimentano nella progettazione e realizzazione di carri allegorici in cui sono rappresentati i temi culturali, economici, politici e sociali di maggiore rilevanza dell’anno in corso.

Pur se nella collezione di etnografia italiana del MUCIV-Museo delle Civiltà (erede di quella del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari fondato nel 1956) sono presenti numerose macchine a spalla e da parata, acquisite nel corso degli anni in occasione dello svolgimento delle più importanti cerimonie religiose e laiche italiane – fra cui, a titolo di esempio, i Ceri di Gubbio o i Gigli di Nola –, non è in esse ancora attualmente documentata l’importante tradizione dei carri allegorici del Carnevale di Viareggio. Per altro, nelle collezioni dell’istituto è già conservata una versione del costume e della maschera ufficiali del Carnevale di Viareggio, rappresentati dal personaggio del Burlamacco, a cui viene quindi accostata, tramite la donazione proposta da Esposito, una più compiuta documentazione del patrimonio immateriale proprio di questa tradizione e arte popolare, testimoniandone la continuità e adattabilità storica nella comunità patrimoniale di riferimento.

Musealizzare questa tradizione vivente significa, per l’artista, contribuire a liberare dai suoi standard abituali il contesto istituzionale, ribaltando appunto il rapporto usuale fra cultura alta e cultura popolare, reale e ipotetico, concesso e interdetto, grandi e piccole dimensioni. Nella fattispecie del carro viareggino, ciò significa attribuire anche ulteriore valore a una tecnica artistica solo apparentemente effimera, ma che in realtà crea personaggi monumentali e li fa interagire nel contesto quotidiano di migliaia di persone: perfezionata un secolo fa, nel 1925, con modelli in creta, calchi in gesso, carta di giornale e con la colla fatta di acqua e farina, attraverso il riutilizzo della carta si creano strutture leggere che permettono di mettere in movimento modelli giganti e di farli interagire, con l’ironia e sagacia dei linguaggi e comportamenti carnevaleschi, sull’attualità.

Analogamente, tutte le 16 proposte dell’artista sono quindi un attraversamento libero e liberatorio del MUCIV-Museo delle Civiltà, prefigurando, attraverso ipotesi artistiche, gli scenari attraverso i quali poter ripensare i modi in cui le collezioni non smettano mai di concepire e raccontare storie antiche e sempre nuove.

Bruna Esposito nasce nel 1960 a Roma dove vive attualmente. Nel 1979 si diploma al IV Liceo Artistico Statale di Roma, studiando con Carmengloria Morales. Studia un anno alla Facoltà di Architettura della Università La Sapienza di Roma. Dal 1980 si trasferisce a New York dove studia danza con Batya Zamir; vince nel 1984 la borsa di studio ISP Whitney Museum of American Art. Dal 1986 vive a Berlino Ovest, dove grazie a due borse di studio IBA-Berlin sviluppa il suo progetto Due gabinetti pubblici a compost. Tornata in Italia, ha partecipato a numerose mostre collettive e mostre personali. Nel mentre ha insegnato presso Cabot University, Temple University e RISD a Roma; successivamente all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, Frosinone, Brera e attualmente è docente di ruolo in tecniche della scultura a Roma.

Nella sua carriera ha preso parte alle seguenti biennali e manifestazioni internazionali: Quadriennale di Roma (1996, 2008, 2021); Documenta X Kassel, Germania (1997); La Biennale di Venezia (1999, 2005); Sonsbeek 9, Arhnem, Olanda (2001); Istanbul Biennial, Turchia (2003); Gwanjiu Biennial, Korea del Sud (2004); New Orleans Biennial, Usa (2008); Cuenca Biennial, Ecuador (2016); Biennial de La Habana, Cuba (2019). Ha inoltre conseguito premi e riconoscimenti quali: Leone d’oro 48ª La Biennale di Venezia (1999); PS1 Italian Program, New York, U.S.A. (1999); Premio Nazionale per la Giovane Arte Italiana, MAXXI, Roma (2001); Selezione Premio Camera dei deputati per il 150° dell’Unità d’Italia, Palazzo Montecitorio, Roma (2011); 62ª Edizione Premio Termoli, MACTE, Termoli (2021); 9ª Edizione Premio Italian Council, Direzione Generale Creatività Contemporanea, Ministero della Cultura, Roma (2021).