Nei sistemi sapienziali buddhista e induista la morte non viene concepita come una cesura netta delle funzioni fisiche e mentali, ma come un processo di preparazione a una nascita successiva. Al momento della morte il principio sottile della coscienza è esposto senza protezione per la prima volta al karma, rischiando di essere trascinato dal peso delle azioni compiute – che accompagnano il corpo come un’ombra – alla trasmigrazione di ulteriori rinascite, vita dopo vita. In effetti, tanto il karma positivo quanto quello negativo tengono avvinto l’essere al ciclo delle rinascite karmiche, e le azioni virtuose stesse non permettono la liberazione finale dal karma se non coadiuvate da disincanto (nicharana), saggezza (prajna) e pensiero altruistico (bodhicitta). La maggior parte degli esseri trasmigratori non è però ritenuta spiritualmente pronta a poter utilizzare la morte per liberarsi dal karma e identificarsi con il modo ultimo d’essere dei fenomeni (shunyata): la concezione del vajrayana (veicolo esoterico, liturgico e iniziatico del buddhismo mahayana) pone una condizione intermedia tra morte e rinascita, detta in sanscrito antarabhava e in tibetano bardo, uno stato in cui la consapevolezza utilizza un corpo composto di materie estremamente rarefatte quale vettore per spostarsi da un piano all’altro del trisahasralokadhatu (trichiliocosmo, l’universo composto da miliardi di mondi), in attesa che maturino le condizioni del proprio esito karmico.
Noto anche in Occidente, il Libro tibetano dei morti – titolo enunciato, sulla falsariga dell’apparentemente analogo Libro egiziano dei morti, da W.Y. Evans Wentz, curatore nel 1927 della prima edizione europea – è una serie di istruzioni che completano i rituali da eseguire o far eseguire in occasione della morte: l’officiante, monaco o laico, sussurra all’orecchio del morente o del defunto i consigli che risvegliano nella coscienza, non ancora dipartita dal corpo, gli insegnamenti spirituali ricevuti in vita. Tali sussidi di accompagnamento alla morte vengono definiti con il termine collettivo di Bardotodol, che indica la liberazione attraverso l’ascolto durante uno stato intermedio. MAP
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In Buddhist and Hindu knowledge systems, death is not conceived of as a definitive cessation of physical and mental functions, but as a process of preparation for a subsequent birth. At the moment of death, for the first time, the delicate principle of consciousness is exposed without protection to karma and risks being dragged by the weight of completed actions – which accompany the body like a shadow – into transmigration of further rebirths, life after life. Indeed, both positive and negative karma keep the being gripped in the cycle of karmic rebirths, and virtuous actions themselves do not allow definitive liberation from karma unless assisted by disenchantment (nicharana), wisdom (prajna) and altruistic thinking (bodhicitta). However, most transmigratory beings are not considered spiritually ready to seize the moment of death to free themselves from karma and achieve identification with the ultimate mode of being (shunyata): the conception of vajrayana (the esoteric, liturgical and initiatory vehicle of Mahayana Buddhism) posits an intermediate condition between death and rebirth, called antarabhava in Sanskrit and bardo in Tibetan, a state in which consciousness uses a body composed of extremely rarefied matter as a vector to move from one plane to another of the trisahasralokadhatu (trichiliocosm, the universe composed of billions of worlds), waiting for the conditions of its own karmic outcome to ripen.
What is known in the West as the Tibetan Book of the Dead – a title along the lines of the apparently similar Egyptian Book of the Dead, applied by W.Y. Evans Wentz in 1927, as editor of the first European edition – is in fact a set of instructions that complement the rituals to be performed on the occasion of death: the officiant, monk or layman, whispers advice in the ear of the dying or deceased and so awakens the spiritual teachings received in life, in the consciousness, which is not yet fully departed from the body. Such aids accompanying death are referred to by the collective term Bardotodol, indicating liberation through listening during an intermediate state. MAP