Il pensiero asiatico ha elaborato nel corso dei secoli molteplici cosmologie e cosmogonie: oltre a rispondere a specifiche esigenze religiose, esse hanno avuto un notevole impatto sociologico, indicando il ruolo dell’individuo nell’universo, il suo rapporto con il divino e con la natura e il percorso evolutivo degli esseri viventi… Da dove proviene il mondo? Dove andiamo quando termina la vita sulla Terra? Esistono mondi celesti e infernali, oltre la Terra? L’universo è uno o i mondi sono infiniti? Si può esistere in dimensioni parallele?
Le diverse fedi religiose non forniscono risposte univoche a queste domande, ma alcuni motivi appaiono costanti. In India, sin dal periodo vedico (1500-800 a.C., epoca durante la quale furono compilati i Veda), emerge l’idea che la vita si dischiuda nella polarità complementare di acqua/fuoco, pioggia/sole, e la nascita dell’universo è immaginata avvenire da un uovo d’oro galleggiante sulle acque indistinte. Il motivo delle acque primordiali, simbolo del caos in cui gli elementi attendono di essere ordinati, ricorre in numerosi miti cosmogonici: dalla storia di Vishnu (il conservatore dell’universo) che alla fine di ogni ciclo cosmico si addormenta sulle spire del serpente Ananta galleggiante sull’oceano cosmico, al mito del “Frullamento del Mare di latte”, da cui emergono i tesori del mondo.
Nelle descrizioni dell’universo è evidenziata la connessione tra macrocosmo e microcosmo, tra la struttura del mondo e quella del corpo umano. In ambito jaina, l’universo è rappresentato come un Uomo Cosmico, le cui parti anatomiche corrispondono ai mondi in cui gli esseri nascono in virtù delle azioni compiute: Terra, Inferi, Regni celesti. In ambito brahmanico e buddhista viene invece prospettata l’esistenza di innumerevoli mondi destinati a sorgere e a scomparire ciclicamente durante le diverse ere cosmiche, in cui si perpetua il samsara. Il fine di questa concezione cosmologica è quello di porre i viventi di fronte alla caducità delle proprie esistenze, suscitando, dinanzi alla terrificante visione di una sofferenza che si perpetua all’infinito, inducendo in essi la volontà di trascendere cosmo e tempo e conquistare il nirvana. LG
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Over the centuries, Asian thought has developed multiple cosmologies and cosmogonies. In addition to responding to specific religious needs, these have had a significant sociological impact, indicating the role of the individual in the universe, their relationship with the divine and nature, and the evolutionary path of living beings – How did the world originate? Where do we go when life on Earth ends? Are there heavenly or hellish worlds beyond Earth? Is there just one universe or are the worlds infinite? Can we exist in parallel dimensions?
None of the religious faiths offer definitive answers to such questions, but some motifs do appear constant. In India, since the Vedic period (1500-800 B.C., when the Vedas were compiled), the idea emerges that life unfolds in the complementary polarity of water/fire, rain/sun, and the birth of the universe is imagined to take place from a golden egg floating on the indistinct waters. The motif of the primordial waters, a symbol of the chaos in which the elements wait to be ordered, recurs in numerous cosmogonic myths: from the story of Vishnu (the Preserver of the universe) who at the end of each cosmic cycle falls asleep on the coils of the serpent Ananta floating on the cosmic ocean, to the myth of the “Churning of the Ocean of Milk,” from which the treasures of the world emerge.
These descriptions of the universe emphasize the connection between macrocosm and microcosm, between the structure of the world and that of the human body. In the Jaina sphere, the universe is depicted as a Cosmic Man, whose anatomical parts correspond to the worlds where beings are born, by virtue of actions performed: Earth, Underworld and the Heavenly Realms. The Brahmanical and Buddhist spheres, on the other hand, envisage the existence of innumerable worlds destined to arise and disappear cyclically during the different cosmic eras, in which samsara is perpetuated. The effect of this cosmological conception is to confront the living with the transience of their own existences, arousing and inducing, before the terrifying vision of perpetual suffering, their own will to transcend cosmos and time and attain nirvana. LG