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Arti e Culture Africane

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Le origini e la storia delle collezioni

Dal Regio Museo Nazionale Preistorico Etnografico (1875) al Museo delle Civiltà (2016)

Nel 1875 viene fondato dall’archeologo Luigi Pigorini (1842-1925) il Regio Museo Nazionale Preistorico Etnografico di Roma nel palazzo del Collegio Romano a Roma. Secondo le intenzioni del suo fondatore, la nuova istituzione nasce per raccogliere in un museo “centrale”, nella nuova capitale del Regno, la documentazione delle culture preistoriche italiane, europee ed extraeuropee e delle culture etnografiche extraeuropee, definite “primitive”.

I primi oggetti di natura etnografica del Regio Museo, raccolti tra 1635 e il 1680 dal gesuita Padre Athanasius Kircher, provenivano dalle missioni dei Cappuccini in Congo ed Angola e da quelle dei Gesuiti in Cina, Brasile e Canada ed erano allora conservati nel Museo Kircheriano.

Al nucleo kircheriano si aggiunsero le “curiosità esotiche” riportate in Europa dopo l’arrivo dei primi europei nelle Americhe e conservate nelle più importanti collezioni dell’Italia settecentesca – come quelle del Cardinale Flavio Chigi Senior e del Cardinale Stefano Borgia – e gli oggetti giunti in Italia tra la fine del XIX e i primi decenni del XX secolo a opera di mercanti, viaggiatori e missionari.

Le collezioni di interesse etnografico si arricchirono grazie a donazioni e acquisti. La Casa Reale, per esempio, donò numerosi oggetti, tra cui strumenti musicali provenienti dall’Indostan e ornamenti femminili delle culture nomadi del nord Africa. Da altri punti di vista, Pigorini stringeva accordi, sia tramite il Ministero della Pubblica Istruzione che personalmente, con i comandanti delle spedizioni scientifiche transoceaniche organizzate dal Ministero della Marina, affinché fosse riportato in Italia il maggior numero possibile di oggetti e fotografie dalle terre esplorate durante le navigazioni. Inoltre la Società Geografica Italiana, che aveva sede nel piano terreno del Collegio Romano, depositava nel Regio Museo gli oggetti di interesse etnografico provenienti dalle sue spedizioni, tra i quali numerosi sono stati quelli raccolti da Giacomo Bove nella Terra del Fuoco e da Romolo Gessi nelle regioni dell’Africa Orientale.

Il primo allestimento del Regio Museo al Collegio Romano era il risultato di visioni del mondo che ponevano le civiltà umane su una immaginaria scala evolutiva (che sarà funzionale anche alle narrazioni e alle pratiche coloniali), per cui le produzioni provenienti dal continente asiatico erano poste all’apice e costituivano le prime sale del percorso espositivo. Il visitatore proseguiva la visita attraverso le sale dedicate alle Americhe, iniziando dal nord del continente e proseguendo verso sud, per poi giungere alle sale dedicate alle raccolte oceaniane e, infine, a quelle incentrate sugli oggetti africani.

Tra il 1975 e il 1977 il Museo Nazionale Preistorico Etnografico viene trasferito nel Palazzo delle Scienze all’EUR, per lasciare i locali del Collegio Romano al nuovo Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. In questa sede conserva la sua originaria organizzazione in 2 settori: uno dedicato alla Preistoria e uno all’Etnografia Extraeuropea.

In seguito alla divaricazione scientifica e accademica tra paletnologia ed etnoantropologia, verificatasi già nei primi 2 decenni del Novecento, il dispositivo della comparazione tra società preistoriche e società di interesse etnografico, proposto e attuato da Pigorini, si sarebbe tuttavia interrotto. L’apice della progressiva crisi degli originari fondamenti museologici dell’Istituto, iniziata al Congresso di Etnografia Italiana del 1911, venne raggiunto negli anni ’70, con il trasferimento delle collezioni nell’attuale sede dell’EUR.

È con l’avvio della rilettura critica della sua storia che sono emersi molti spunti utili a rilanciarne la missione istituzionale, attraverso anche i cambiamenti dell’allestimento museale, a partire dagli anni Novanta del XX secolo, incentrati sulle nuove prospettive scientifiche e accademiche.

Raccogliendo criticamente l’eredità delle precedenti interpretazioni, il Museo delle Civiltà, a partire dalla sua istituzione nel 2016, svolge le proprie attività di ricerca con approcci teorici e metodologici che si distaccano da alcuni dei presupposti che avevano caratterizzato la nascita dell’istituzione alla fine del XIX secolo e dai suoi metodi di ricerca ancora di matrice positivista. Nel museo non è quindi più applicata la comparazione tra “primitivo” preistorico e “primitivo” etnografico, ed è con questa stessa logica che l’attuale presentazione delle collezioni extraeuropee del Museo delle Civiltà sarà riallestita e periodicamente approfondita.

La Collezione di Arti e Culture Africane

Sull’origine del termine “Africa” non vi è un accordo unanime, anche se l’ipotesi più plausibile è che il termine derivi dalla tradizione letteraria toscana e italiana, per cui con Africa si intendeva la “terra degli Afri”, il nome latino dato ad alcune genti che abitavano il Nord Africa. Oggi, come in passato, il continente africano è un territorio poliedrico e multiforme, e le Collezioni di Arti e Culture Africane del Museo delle Civiltà ne rappresentano solo un frammento. Negli ultimi decenni le Collezioni di Arti e Culture Africane, che comprendono circa 10.000 opere, sono state ordinate attraverso i seguenti ambiti: 

  • Primi oggetti africani in Italia

Agli inizi dell’Età Moderna gli europei conoscevano soltanto la parte costiera dell’Africa. I navigatori portoghesi avevano esplorato le coste occidentali del continente in poco più di 50 anni, tra il 1434 e il 1488. Raggiunto il Capo di Buona Speranza, essi avevano aperto la via marittima che proseguiva oltre Zanzibar, in direzione delle Indie. La configurazione interna del continente restava ancora per loro sconosciuta, essendosi i navigatori portoghesi limitati a installare una serie di scali costieri che servivano da base per i vascelli mercantili e per l’azione dei missionari cattolici. Missionari e mercanti del XVI e XVII secolo riportarono dall’Africa alcuni oggetti che apparivano particolarmente curiosi al loro sguardo, scegliendo forse quelli che suscitavano maggiore meraviglia per la raffinatezza della lavorazione e per la rarità del materiale. Gli oggetti confluirono per lo più nelle raccolte d’arte delle corti reali e principesche dell’Europa rinascimentale e barocca, nei tesori delle cattedrali o nelle camere delle meraviglie (dal tedesco Wunderkammer) di alcuni personaggi eminenti, come quella concepita e allestita a Roma, tra 1635 e il 1680, dal gesuita Padre Athanasius Kircher. Queste collezioni diventeranno in Europa, fra il XIX e il XX secolo, il nucleo fondativo di molte delle collezioni etnografiche dei musei delle culture del mondo contemporanei.

  • Le “esplorazioni” europee dell’interno del continente: colonialismo e genesi delle raccolte etnografiche

Le esplorazioni europee all’interno del continente africano iniziarono e si compirono nell’arco di un secolo, tra fine del XVIII e seconda metà del XIX secolo, sull’onda delle prime esplorazioni individuali (Mungo Park, René Caillé, Heinrich Barth) e, successivamente, delle spedizioni promosse dalle Società Geografiche. Le vie utilizzate per accedere ai territori interni seguivano spesso i grandi fiumi, consentendo così di tracciare le connesse carte idrografiche dell’Africa. Il corso e le sorgenti del Nilo furono mappati per ultimi, tra il 1857 e il 1864, in seguito ai viaggi di Richard Burton, John H. Speke e James A. Grant. L’esplorazione dell’interno divenne occupazione, prima economica e poi militare, alle soglie del XIX secolo, quando, dopo il Congresso di Berlino o Conferenza dell’Africa Occidentale o Conferenza sul Congo (in tedesco: Kongokonferenz, 1884), si operò la sistematica spartizione del continente fra le maggiori potenze europee.

In concomitanza con la politica di espansione coloniale, nacquero, in Europa e negli Stati Uniti d’America, i grandi musei etnografici che raccoglievano e classificavano armi, utensili, opere d’arte, simboli civili religiosi ed ogni altro tipo di oggetto, di uso quotidiano o rituale.

Gli oggetti conservati nei musei etnografici sono per questa ragione anche un documento di interpretazioni erroneamente all’epoca ritenute scientifiche ma connesse a immaginari razzisti che devono essere storicamente ricostruite per ricongiurare l’allestimento museale contemporaneo. La ricostruzione di queste interpretazioni serve quindi ad illustrare la mentalità di superiorità delle culture europee dell’epoca e le differenze nel modo di considerare tali oggetti tra chi li fabbricava e utilizzava come veri e propri soggetti identitari e chi, invece, li sottraeva al loro contesto originario per farli confluire nelle collezioni museali dei musei etnografici europei.

  • L’arte africana

L’arte proveniente dall’Africa si esprime in una vasta articolazione di forme, materiali, tecniche e simboli. La plastica ligneamaschere e statuaria – rappresenta il contributo della tradizione artistica del continente africano più rappresentato all’interno dei musei etnografici dell’epoca. Agli inizi del XX secolo, inoltre, la presenza massiccia nei musei etnografici di queste opere e delle loro forme di espressione creativa – così come mostre universali sul colonialismo quali quelle di Bruxelles del 1897, di Parigi del 1907, 1917, 1919, o la prima mostra di scultura africana in Italia allestita alla Biennale di Venezia nel 1922, le cui opere sono in parte confluite nelle collezioni del Museo delle Civiltà – ha influito sul processo di definizione di alcune delle avanguardie artistiche europee, come Cubismo, Espressionismo, Fauvismo, Futurismo, pur con oggi evidenti fraintendimenti e semplificazioni, a partire dalla definizione unilaterale e omologante rispetto alle articolazioni interne delle arti e culture africane nel loro complesso, di art nègre (“arte negra”), o arte primitiva

Le Collezioni di Arti e Culture Africane del Museo delle Civiltà sono in corso di riallestimento per poter comprendere anche nuove opere e materiali archivistici dedicati alle arti e culture e alle popolazioni non ancora comprese nell’attuale allestimento, insieme a approfondimenti sugli scenari definiti dal colonialismo italiano in Africa fra XIX e XX secolo, dal ruolo delle grandi mostre europee e dalle ricerche etnografiche universitarie del XX secolo, infine, e dalla globalizzazione contemporanea.

Dalle collezioni

Le informazioni contenute nelle didascalie derivano da una documentazione storica o da catalogazioni e inventariazioni che non riflettono necessariamente una conoscenza completa o attuale da parte del Museo delle Civiltà. La revisione progressiva del database delle collezioni è in corso e sarà costantemente aggiornata sulla base della ricerca condotta e attivando confronti e collaborazioni anche con soggetti esterni con particolare attenzione agli studi sulle provenienze.

Statua Nkisi Nkonde

Statua

Amuleto

Bambola per la fecondità

Bastone

Bastone cerimoniale

Campana a percussione

Cintura

Collana

Collana

Archivio in aggiornamento

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